“Vittoria!” ha esclamato Matteo Salvini ieri su twitter. Ovviamente si riferiva alla decisione del premier spagnolo Sánchez di accogliere la nave Aquarius. Ho molti dubbi che la vicenda si sia conclusa con una vittoria per il Paese e per le relazioni con i partner europei. Salvini ha giocato di tattica sulla pelle dei migranti, a urne aperte, per meri scopi di propaganda. Ma la strategia di medio-lungo periodo è altra cosa. Però un dato politico c’è ed è sempre più evidente. Matteo Salvini detta quotidianamente l’agenda politica e comunicativa del Paese, spostando il baricentro del governo radicalmente a destra e assumendo giono dopo giorno la funzione di vera guida dell’esecutivo.
Il premier Conte, ieri in visita nelle zone terremotate, è stato messo completamente in ombra e il dioscuro Di Maio appare confinato nel ruolo di comprimario, quasi junior partner di un governo in cui in realtà detiene il pacchetto di maggioranza. D’altronde i risultati delle elezioni amministrative di domenica rafforzano queste impressioni. La Lega non solo si è presa la guida del centrodestra, ma lo sta ormai svuotando, avendo come obiettivo la fondazione di un nuovo soggetto politico (per ora lo chiameremo Lega Italia).
C’è però di più, perché la Lega incomincia ad attrarre magneticamente anche una fetta consistente gli elettori dei 5 Stelle che sul tema dei migranti non vedono nessuna differenza tra Salvini e Di Maio, anzi preferiscono il primo proprio perché più netto, più radicale, più fieramente contrario ai flussi migratori. Insomma se la strategia di Salvini è chiara, quella di una campagna elettorale permanente e di un’Opa ostile sull’elettorato dei vecchi e nuovi alleati (ragione per cui dubito fortemente sulla tenuta di questo governo), la domanda che mi pongo da tempo è: cosa ci guadagna il M5S?
ll partito vincitore del 4 marzo, votato da più di 11 milioni di italiani, con il 32% dei consensi, poteva davvero prendere possesso del centro politico italiano, essere determinante nelle politiche del governo (e non solo nelle poltrone di governo) in un nuovo scenario proporzionale, come ha fatto la Dc per oltre 40 anni di democrazia italiana. Invece sta subendo la forza attrattiva e politica di un partito che alle ultime elezioni ha preso solo il 17% senza essere una forza davvero nazionale (almeno per ora). Mi chiedo, sine ira et studio, questo si auguravano gli elettori grillini quando il 4 marzo hanno affidato al Movimento le loro speranze di cambiamento radicale? Non ho numeri, né indagini statistiche a sostegno, però ho l’impressione che una frattura in quel mondo composito e trasversale stia accadendo e stia accandendo anche rapidamente.
D’altronde le parole e soprattutto i silenzi di Roberto Fico ci dicono molto di più di una narrazione monolitica dei gruppi parlamentari a 5 Stelle come falangi impenetrabili. E qui nasce l’ultima questione: sarà capace il Pd, oltre il politicismo di un indistinto ideologico come il fronte repubblicano, a far scoppiare le contraddizioni interne al M5S e, ricostruendo se stesso dalle fondamenta, a tornare attrattivo per quegli elettori in fuga il 4 marzo e che potrebbero tornare presto a casa? Come diceva il poeta, lo scopriremo solo vivendo.