“Sarebbe stato assurdo aspettarsi qualcosa di più preciso in un incontro come ieri, che era stato preparato per lo più per essere un evento mediatico”, spiega a Formiche.net Simone Pieranni, giornalista tra i più esperti italiani del mondo asiatico (fondatore del sito specializzato China Files e redattore del Manifesto), che in questi giorni era a Sentosa, isola meridionale di Singapore dove s’è svolto lo storico vertice tra Donald Trump e Kim Jong-un.
I due fino a pochi mesi fa si davano del “rimbambito” (Kim a Trump) e del “little rocket man” (Trump a Kim) e si minacciavano rispettivamente di azioni militari dall’evocazione atomica, ma da ieri le cose sembrano definitivamente cambiate: per la prima volta un presidente americano in carica ha incontrato il dittatore che guida uno dei Paesi che si approccia agli Stati Uniti con maggiore ostilità. Ed è soprattutto la narrazione a cambiare: nel post su Facebook con cui la Casa Bianca ha raccontato l’incontro (un accattivante trailer cinematografico) il satrapo nordcoreano è diventato un “Chairman”, scomparsi gli insulti e le minacce, Kim è un attore internazionale con cui dialogare, la dittatura del Nord uno stato col diritto di incontri bilaterali (e sembra possibile dimenticarsi che la Corea del Nord è per l’America uno degli stati canaglia, nemici e sponsor del terrorismo).
I due leader hanno anche firmato un documento congiunto, che, spiega Pieranni, “è debole, ma è pur sempre un primo passo. Il problema vero arriverà adesso, quando i prossimi incontri tra i negoziatori andranno nel dettaglio”, aggiunge: e il tema a cui fa riferimento è la denuclearizzazione, aspetto centrale e delicatissimo, su cui per ora si è intavolata solo una mappa d’intenti. “Ci sono in ogni caso almeno due punti oscuri: intanto, per esempio, se la Corea del Nord accetterà sul proprio territorio esperti capaci di verificare quanto stanno facendo e in generale come decideranno di denuclearizzare (a questo proposito il documento è debole perché non parla di ‘verificabilità‘ e ‘irreversibilità’)”.
E il secondo punto oscuro? L’altro lato del tavolo? “Trump non rappresenta certo in questo momento un’istituzione di cui fidarsi completamente. Ha già dimostrato di saper fare saltare accordi sia globali, come l’Iran deal, sia regionali come il Tpp. Purtroppo in questa fase previsioni non se ne possono fare: è necessario aspettare i prossimi incontri e capire davvero le volontà delle due parti”.
Allargando lo sguardo, allora: cosa cambia dal punto di vista degli equilibri regionali dopo questo vertice, che come ha detto Trump, è stato “un meeting globale”? “Credo che ci guadagni la Cina più di tutti. Alla fine l’unica cosa chiara che esce da questo meeting è quanto di più simile alla doppia sospensione richiesta da Pechino fin dall’inizio della crisi coreana”, dice Pieranni intendendo la strategia nota anche come “doppio congelamento”: da una parte i test nordcoreani e dall’altra le esercitazioni militari americane in partnership con la Corea del Sud (odiate da Pyongyang quanto da Pechino perché marchiano la presenza americana nella Penisola e nel Pacifico in generale).
“Certo i cinesi puntavano proprio all’eliminazione della basi militari della USFK (le United States Force Korea, ossia il folto contingente militare americano in Corea del Sud, ndr) ma credo che per ora si possa accontentare”. E la Corea del Sud? Sappiamo che il presidente Moon Jae-in è stato il motore dietro a questa corsa diplomatica: “Ieri Moon, che è di certo il vero artefice di tutto questo, si è espresso con toni solenni di giubilo”, aggiunge Pieranni.
Che spiega: “C’è una tornata elettorale in Corea e vedremo che risvolti avrà l’incontro sui risultati”. “E poi c’è il Giappone – continua l’esperto italiano – che credo rimanga scettico, ma in generale mi pare che tutti vogliano prendere quanto accaduto ieri come un passo importante, sebbene sia da verificare nei dettagli”.