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Trump verso Putin: i dubbi americani e le paure europee

Donald Trump

Il 16 luglio il Presidente Donald Trump sarà a Helsinki per incontrare il suo omologo Vladimir Putin. un faccia a faccia in cui l’americano crede molto, perché non vuole perdere completamente il contatto con il russo, anche se è attaccato nel suo paese per la vicenda del Russiagate (le potenziali collusioni tra la vittoria di Trump e le interferenze russe alle presidenziali, su cui il presidente continua a essere scettico come spiega un suo stesso tweet di due giorni fa, nonostante la sua Intelligence Community non abbia dubbi).

Il giro di appuntamenti in cui Trump si troverà e che precederanno di pochi giorni il meeting, è già significativo di per sé: il Prez si troverà immerso tra gli alleati, in parte preoccupati delle sue mosse verso Mosca. L’11 e il 12 luglio Trump sarà a Bruxelles per il vertice Nato, dove dovrà rassicurare l’alleanza sui commitments americani, sulla stabilità interna (legata molto alle quote di investimenti dei membri), e anche riguardo alla postura da tenere con la Russia, pezzi importanti della strategia americana che potrebbero portarsi dietro ripercussioni all’interno dell’amministrazione (vedere per esempio il nervosismo del capo del Pentagono James Mattis, generale classicista che non ha mai amato troppo i colpi di mano del presidente).

Poi il 13 sarà a Londra, dove è previsto un inchino alla Regina, ma soprattutto è là che cercherà l’interlocuzione del partner della Special Relationship, perché gli inglesi in questo momento vedono Mosca in cagnesco dopo il caso Skripal, hanno una posizione ambigua rispetto all’Ue, ma restano i primi a impegnarsi al fianco degli americani, alleati dunque con cui Trump non può perdere distacco. Poi passerà due giorni di golf rilassanti nel suo resort di Belmedie, costa est scozzese. Infine Helsinki e Putin.

Trump arriverà all’incontro con il russo in un momento delicato della sua presidenza: lo strappo con i principali alleati del G7, gli attacchi contro il primo ministro canadese e le frecciate agli europei, i dazi commerciali, la distanza sui cambiamenti climatici, la divisione sull’accordo sull’Iran, sono una serie di questioni che lo hanno messo in una posizione difficile di quasi-isolamento.

“Una cosa che è davvero folle è l’idea di Trump di poter fare meglio da solo, ossia che Putin avrà più rispetto per lui se Trump ha distrutto le stesse istituzioni che danno all’America il potere, come la Nato e il G7”, ha commentato al New Yorker Stephen Sestanovich, analista del Council on Foreign Relations e un paio di decenni fa assistente del segretario di Stato per quelli che la dottrina americana chiama i Post-soviet state.

L’opinione più comune che attraversa il dibattito tra gli esperti di politica internazionale americani è che l’incontro di Helsinki non cambierà niente, almeno dal punto di vista sostanziale. La Russia è troppo avanti nel suo impegno in Ucraina o Siria, per esempio, per deviare strategia.

Alexanders Vershbow, ex ambasciatore americano in Russia ed ex vice segretario generale della Nato, ha spiegato sempre al New Yorker, proprio le distanze di vedute sull’Ucraina: è un argomento interessante ed esplicativo, perché è anche il quid dietro alle sanzioni alla Russia su cui il Consiglio europeo ha deliberato il rinnovo in questi giorni, nonostante i tentativi di scatto in avanti italiani. Washington e Bruxelles vorrebbero una forza di peacekeeping dell’Onu dispiegata su tutta la fascia del Donbas – la regione orientale dove si trovano le province separatiste ancora in guerra con Kiev –, impegnata alla pacificazione, con un’amministrazione controllata finche la sovranità non tornerà sotto il controllo del governo centrale; Mosca vorrebbe che i Caschi Blu venissero piazzati solo al confine tra Donbas e resto dell’Ucraina, e col mero compito di bodyguard per gli ispettori europei dell’Osce. Una grossa distanza.

La Siria è invece un argomento meno teso, l’amministrazione americana sembra essere arrivata al punto di massimo disimpegno: il terreno comune è basato su aspetti diversi, però. Putin dà enorme valore strategico alla sua presenza siriana, per Trump non rimanere invischiato nel conflitto e portar fuori le truppe dal paese è una questione politico-elettorale nell’ottica dell’America First. Trump, secondo uno scoop della Cnn, starebbe pensando a strappare un accordo a Putin con cui tirarsi fuori dal dossier “asap” – poi le tensioni sul campo restano: per esempio, gli accordi negoziati tra i due paesi e la Giordania per il deconflicting sulla fascia sud siriana sembrano saltati negli ultimi giorni per attacchi assadisti avallati dai russi che stanno innervosendo molto la Difesa americana.

L’unico punto di contatto su cui potrebbe uscire qualcosa di concreto dal vertice comunque sembra essere la questione del controllo degli armamenti: basato su regole della Guerra Fredda che appaiono ormai anacronistiche, la Russia s’è tirata fuori da alcuni trattati internazionali con decisioni tit-for-tat, il cui perpetrarsi può portare a nuovi, pericolosi, isolamenti. Entrambi i presidenti hanno fatto sapere di essere d’accordo sulla necessità di riscrivere le regole per dare sicurezza al mondo.

L’Editorial Board del Washington Post dà una lettura più generale, ricordando di quando il consigliere per la Sicurezza nazionale americano, il falco repubblicano John Bolton che pochi giorni fa ha definito i dettagli del vertice andando a Mosca (passando per Roma), diceva che trattare con la Russia è un’operazione da fare a “nostro rischio e pericolo”. Era l’anno scorso. Ora, spiega il fondo editoriale del WaPo, il meeting “potrebbe essere utile, ma un incontro mirato a compiacere Putin è ingenuo e sconsiderato. Un incontro mirato a placare Putin a spese degli alleati democratici e tradizionali americani sarebbe pericoloso e dannoso”.

Gli alleati europei – che pure si vedono regolarmente con Putin, recentemente è toccato ai leader di Francia e Germania, per dire – sono nervosi. In realtà, spiega un uomo dell’Ue in via discreta, non è né l’incontro in sé, né il momento, a marcare l’umore, ma “quel senso di imprevedibilità che accompagna ogni mossa del presidente americano”. Per esempio: cosa succederebbe se il corteggiamento e l’adulazione con cui da sempre Putin tratta strategicamente Trump portassero quest’ultimo a decisioni azzardate sul sistema di contenimento sanzionatorio che ha punito Mosca per le mosse aggressive in Ucraina?

Certo, vero che ci sono i sistemi di check&balances della democrazia americana che hanno già probabilmente bloccato molti degli istinti presidenziali, ma è questo genere di situazioni che gli europei temono, soprattutto alla luce del rinnovo della sanzioni deciso dal Consiglio europeo in questi giorni; hanno paura di essere lasciati soli dal principale alleato dell’asse occidentale (e la questione dell’accordo nucleare con l’Iran è un precedente).

Si teme per una riqualificazione rapida e inaspettata di Mosca, che potrebbe lasciare scoperta l’Ue e costringerla ad arrangiarsi nell’inseguimento.

L’incontro con Trump, infatti, darà a Putin un’ulteriore risonanza internazionale, su cui i media propagandistici interni stanno già spingendo: secondo un sondaggio condotto tra il 22 e 26 giugno dall’istituto Levada la popolarità del presidente russo è crollata al 65 per cento (lo scorso mese era al 79), il dato più basso da prima dell’annessione della Crimea. Il calo dell’approval è stato ripreso anche dal centro di ricerche pubblico VTsIOM, usualmente più prudente, che ha segnalato nei giorni scorsi la diminuzione del consenso per il presidente dal 77 al 72 per cento.

Numeri che sarebbero comunque ottimi altrove, per esempio a Washington, dove Trump viaggia attorno al 40 per cento, dopo aver stazionato per metà giugno poco sopra al 30. È qui la dimensione del beneficio reciproco che uscirà da Helsinki, con molti sostenitori di Trump che vedono Putin come un interlocutore fondamentale.



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