Trump aveva lasciato gli alleati del G7 canadese “con l’impressione che i patti multilaterali e le democrazie fossero più un ostacolo che una risorsa per mantenere un sistema fondato sulle norme, i valori, il libero commercio e la fiducia”. A Singapore invece, “il presidente americano è sembrato essere un leader completamente diverso, riuscendo persino a mostrare una certa aria di gravitas”.
Judy Dempsey, nonresident senior fellow di Carnegie Europe, commenta così sul suo blog il distacco, simbolico e sostanziale, tra l’immagine del Trump di La Malbaie, isolato e preso di mira dagli storici partner occidentali, e quello trionfante di Singapore, che in perfetto stile hollywoodiano stringeva la mano per oltre 10 secondi al satrapo nordcoreano Kim Jong-un, diventando così “il primo presidente americano nella storia ad incontrare un leader della Nord Corea”.
Non è solo il contenuto dell’accordo raggiunto ad essere storico. Washington si è impegnata a fornire “garanzie di sicurezza” e Pyongyang “a lavorare” per la “completa denuclearizzazione” della penisola coreana. Ma sono stati soprattutto i toni dei due leader a soprandere. “Con Trump abbiamo lasciato il passato alle spalle – ha detto Kim Jong Un – il mondo vedrà un grande cambiamento”. Gli hanno fatto eco le parole di Trump, abbiamo instaurato “una relazione formidabile” e un “legame speciale”, ha detto ai giornalisti, il vertice è andato “molto, molto bene”. Non male per due che solo qualche mese fa giocavano a chi aveva la bomba più grossa.
“Gli elogi di Trump per Kim – osserva l’esperta irlandese – stridono con il trattamento riservato ai tradizionali alleati degli americani”. Secondo l’esperta, i successi che Trump porta a casa nelle relazioni bilaterali con gli autocrati euro-asiatici va ricercata nella natura stessa delle relazioni che il tycoon riesce ad instaurare con questo tipo di leader.
Relazionarsi con gli alleati – osserva Dempsey – è spesso difficile e complicato. Richiede pazienza e arte del compromesso. Diversamente, “avere a che fare con dei leader autoritari è tutta un’altra faccenda”. “Nel caso delle relazioni di Trump con il presidente Cinese Xi Jinping, il presidente russo Vladimir Putin, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il leader nordcoreano Kim Jong-un, i valori e le regole non vengono nemmeno presi in considerazione.
Insomma, Trump potrebbe star preparando la strada a un nuovo tipo di diplomazia, che è pronta a guardare anche al di fuori dei confini dell’occidente per imporre uno stile completamente nuovo, lontano anni luce dal sistema di accordi e organismi multilaterali che, con tutte le sue debolezze, ha rappresentato dal dopoguerra a oggi lo zoccolo duro del sistema internazionale.
In questo ottica, il summit di questa notte tra Trump e Kim potrebbe segnare uno spartiacque decisivo. Se oltre al successo personale incassato dai due leader verso le rispettive opinioni pubbliche esso dovesse preludere a dei progressi sostanziali sul dossier coreano, “esso potrebbe incoraggiare ancora di più l’amministrazione Usa a ignorare i suoi alleati tradizionali, per intraprendere un tipo particolare di politica estera unilaterale”. Se fosse così, spiega Dempsey, “gli alleati dovrebbero chiedersi: Siamo pronti per questo nuovo ordine mondiale?”.