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La crisi diplomatica fra Turchia e Usa sul tavolo di Pompeo

Dopo aver lavorato alacremente sui dossier Iran e Corea del Nord, il Segretario di Stato Usa Mike Pompeo si accinge oggi a prendere di petto un altro cruccio per l’amministrazione Trump: la Turchia.

Le relazioni tra i due alleati Nato sono ai minimi storici per una folta serie di motivi, a partire dalle scelte sulla Siria e dalla decisione di Ankara di avvicinarsi sempre più a Mosca. Nella guerra civile siriana, la Turchia ha deciso di allearsi alla Russia e all’Iran, e con esse sta amministrando le battute finali del conflitto. Un posizionamento che ha posto la Turchia in rotta di collisione proprio con gli Stati Uniti, che in Siria appoggiano le Forze Democratiche Siriane (Sdf), la milizia curdo-araba che, godendo del sostegno della coalizione internazionale a guida americana, ha annichilito lo Stato Islamico, espugnando la roccaforte di Raqqa e costringendo alla fuga i rimasugli della formazione jihadista.

Un rapporto, quello tra Sdf e Stati Uniti, che ha fatto subito infuriare Ankara, che considera le Sdf e il loro partito collegato Ypg una entità terroristica affiliata al Partito Curdo dei lavoratori (Pkk), che per oltre trent’anni ha sfidato il governo centrale con la sua agenda separatista.

Le tensioni tra Washington ed Ankara si sono ulteriormente aggravate con la decisione di Donald Trump di riconoscere Gerusalemme quale capitale di Israele. Una mossa che il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha immediatamente contrastato, alzando i toni della polemica e mobilitando i paesi musulmani con l’intenzione di compattarli in una posizione comune contraria alla decisione americana.

Di questi ed altri temi Pompeo discuterà oggi a Washington con il ministro degli esteri turco Mevlut Cavusoglu. Nell’agenda dell’incontro, oltre ai rapporti reciproci ed alla Siria, ci sono le questioni regionali e la lotta al terrorismo. Ma a dominare i colloqui sarà senz’altro la questione del rapporto tra Usa e Sdf.

Ankara ha chiesto più volte agli Usa di cessare ogni forma di sostegno militare alle Sdf. L’amministrazione Trump ha sempre risposto picche, sminuendo però – per rassicurare Ankara – la valenza del rapporto che unisce i curdi agli americani. Dinanzi a questo atteggiamento, Erdogan ha replicato con i fatti: il 20 gennaio ha lanciato l’operazione Ramoscello d’Ulivo, invadendo la regione di Afrin che fino a quel momento era amministrata dalle Sdf. Una volta centrato l’obiettivo, Erdogan ha più volte ripetuto che le operazioni militari turche sarebbero proseguite fino a che tutti i territori siriani controllati dalle Sdf fossero passati di mano.

A tal fine, Cavusoglu oggi chiederà a Pompeo di abbandonare al proprio destino le Sdf e ritirare le truppe americane che stazionano nel nodo strategico di Manbij, roccaforte delle SDF nella Siria nord-orientale presso la sponda ovest dell’Eufrate. Ieri Cavusoglu ha annunciato che, nell’incontro con Pompeo, sarà concordata una road map per Manbij e, in prospettiva, per tutti i territori controllati dalle Sdf.

Nelle intenzioni del capo della diplomazia turca, Sdf e Ypg dovranno lasciare Manbij e progressivamente tutte le aree attualmente sotto il loro controllo, e lasciare le redini delle amministrazioni locali che sono state formate in questi ultimi anni sotto egida Sdf/Ypg. “Chi governerà qui (a Manbij) fino a quando non si raggiungerà una soluzione politica nel paese? Chi sarà responsabile per la sicurezza?”, si è chiesto Cavusoglu. “L’azione comune e la decisione congiunta con gli Stati Uniti su questi temi è il quadro di base del piano sul nord della Siria”, ha spiegato il ministro. “Dobbiamo stabilizzare questi luoghi”, ha concluso Cavusoglu.

Il piano di Cavusoglu prevede che le Ypg abbandonino Manbij in una data da stabilire tra Ankara e Washington. A quel punto, le autorità militari e di intelligence turche e statunitensi avvieranno un’ispezione congiunta della città e, successivamente, collaboreranno nella formazione di una nuova amministrazione locale, che sarà formata prendendo in considerazione la distribuzione etnica della popolazione. Questo percorso, secondo l’auspicio del ministro turco, sarà applicato in prospettiva a tutte le località attualmente amministrate dalle Sdf.

Pompeo dunque sarà costretto oggi a fare una scelta dolorosa tra due alternative: continuare ad appoggiare i curdi, facendo precipitare definitivamente le relazioni tra Ankara e Washington; oppure assecondare i desideri turchi, cessando ogni cooperazione con le Sdf e abbandonando così quel fedele alleato che, con grande sacrificio, si è valorosamente battuto contro lo Stato islamico. Un dilemma stringente, che metterà alla prova le capacità diplomatiche del Segretario di Stato di Donald Trump.

Pompeo, che ha fama di uber-falco, potrebbe tuttavia ribaltare la questione, e porre Ankara di fronte ad un bivio: continuare a ricattare la superpotenza con i propri comportamenti capricciosi e le proprie ossessioni, rischiando di far precipitare la relazione bilaterale, o cercare di ripristinare una parvenza di rapporto cooperativo. L’ultima parola, ovviamente, spetterà ad Erdogan, che essendo però impegnato in una complicata campagna elettorale difficilmente vorrà apparire arrendevole di fronte agli americani.


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