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Washington alza l’attenzione sul Mare Cinese, Pechino minimizza

Ieri il Director of Joint Staff, uno dei massimi comandanti militari nell’ordinamento americano, ha alzato di un livello i toni del confronto tra Stati Uniti e Cina. Il generale dei Marines Kenneth McKenzie ha detto testualmente a un giornalista che gli ha posto una domanda a proposito della situazione del Mar Cinese Meridionale: “Vorrei solo dirvi che gli Stati Uniti hanno fatto molta esperienza nel Pacifico occidentale taking down piccole isole”. Isolotti come quelli in cui Pechino sta spingendo l’occupazione di quelle lingue di terra contese con altri paesi, e sta costruendo installazioni militarizzate contestate da Washington.

Taking down” è una forma di un phrasal verb tipico dell’inglese americano che significa “rimuovere” qualcosa, ma anche “sopprimere”, e dunque quello che uno dei massimi esponenti del Pentagono e assistente militare del segretario e del presidente ha detto alla stampa suona palesemente come una minaccia; occhio, dice (interpretando) McKenzie ai cinesi, che da tempo vi stiamo invitando a interrompere la militarizzazione spinta con cui state occupando quei territori, e se non ci ascoltate possiamo pure trovare una soluzione più drastica su cui siamo già preparati (il riferimento del generale va alla Seconda guerra mondiale e alle battaglie americane nel Pacifico, ovviamente).

La questione del Mar Cinese coinvolge direttamente Washington perché diversi alleati statunitensi (per esempio il Vietnam o le Filippine, nella porzione più calda, quella meridionale, o il Giappone nella fascia orientale) si trovano a sostenere le proprie rivendicazioni su quelle acque strategiche per il commercio – e ricche di giacimenti – non solo per una questione politica, ma anche per evitare di essere fagocitati dalla potenza cinese. Senza la nostra presenza, la Cina avrà spazio “realizzerà il suo sogno di egemonia in Asia”, ha detto sempre in questi giorni l’ammiraglio Harry Harris, capo del comando Indo-Pacifico del Pentagono.

Nel confronto globale tra Cina e Stati Uniti questo è forse il dossier più caldo, dove non si sono mai raggiunti punti di contatto negli ultimi anni: per dire, lo scontro commerciale procede a fasi alterne, ma in mezzo ai continui colloqui tra le rispettive delegazioni; oppure la crisi nordcoreana, con Pechino e Washington che tengono i contatti nella rincorsa diplomatica.

Sul Mar Cinese no: gli americani continuano a sostenere la necessità che quelle acque siano lasciate sotto il diritto internazionale (e marchiano la posizione mandando le proprie navi militari a compiere passaggi Fonop, nome tecnico per queste operazioni con cui l’amministrazione americana sottolinea la libertà di navigazione), la Cina le vuole invece sotto la propria sovranità rivendicandone un controllo storico.

Pechino ha reagito furiosamente alle dichiarazioni di McKenzie, parole che visto il ruolo che occupa hanno un peso particolare: a parlare è stato, come spesso accade, la portavoce del ministero degli Esteri, Hua Chunying, che ha attaccato gli americani che si lamentano della militarizzazione cinese (comunque negata dal Dragone) mentre “loro” hanno invaso il Pacifico con le armi; in quell’area ci sono più forze armate americane che cinesi, ha aggiunto.

“Il fatto che alcune persone negli Stati Uniti rimarchino la militarizzazione del Mar cinese meridionale è irragionevole, come un ladro che volesse gridare ‘al ladro’”, ha detto Hua. I cinesi ora stressano una posizione: gli Stati Uniti stanno usando il dossier non per reale interesse, ma come leva contro la Cina. Chiedono a Washington di non esagerare e di non dare eccessivo risalto a tutto ciò che accade nel Mar Cinese.

Mercoledì il segretario della Difesa americana (il capo di McKenzie), Jim Mattis, era in visita alle Hawaii, per dare il via alle esercitazioni Rimpac: quelle in cui Washington prima aveva invitato Pechino a partecipare, a gennaio, ma poi il 23 maggio ha ritirato l’invito per via proprio della militarizzazione del Mar Cinese (gli americani dicono che il presidente Xi Jinping non sta tenendo fede a una promessa fatta già nel 2015; i cinesi dicono che quelle postazioni militari sono solo punti di appoggio difensivo, sebbene sembrino avamposti strategici di dissuasione).

Mattis ha detto che Washington continuerà a pressare la Cina sulle attività unilaterali nelle isole contese.

 

 

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