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L’accordo tra Zte e governo americano farà ripartire i trade talks?

La Zte ha firmato un accordo preliminare con il governo americano: Washington avrebbe concesso al secondo più grosso produttore di strumentazioni per le telecomunicazioni della Cina di tornare operativo sul mercato statunitense, dopo che ne aveva praticamente minato le attività alzando un ban contro le aziende americane a cui era stato proibito di vendere componentistica alla cinese per sette anni.

L’informazione la fa trapelare una fonte “a conoscenza degli sviluppi” alla Reuters, non è chiaro se arrivi dalla ditta o dai funzionari governativi che stanno seguendo il dossier, ma si tratta di una notizia in fin dei conti attesa. Dopo la misura severissima decisa dall’amministrazione statunitense, era stato lo stesso presidente Donald Trump a tornare in parte sui suoi passi, dichiarando che in effetti il divieto alzato dal Tesoro andava a colpire troppo in profondità Zte, e per questo andava rivisto.

La sanzione, decisa ad aprile, era conseguenza di un atteggiamento scorretto dell’azienda – almeno secondo l’interpretazione di Washington. La ditta non aveva sufficientemente punito i quadri che erano stati beccati a intraprendere attività commerciali con Iran e Corea del Nord, stati su cui pendevano restrizioni commerciali internazionali e a cui invece la Zte aveva venduto componenti tecnologiche di fatto americane, nascoste negli involucri dei suoi prodotti.

(Breve recap: era stata sempre Reuters a fare lo scoop nel 2012, sui traffici verso Teheran, e da lì il governo americano aveva avviato le proprie indagini. Poi, nel 2017, Zte aveva ammesso la propria colpevolezza e il dipartimento del Commercio, che prima minacciava di tagliare alla ditta la sua rete di approvvigionamento globale, aveva accettato di lasciarla operare liberamente in cambio di punizioni esemplari nei confronti di chi aveva diretto quegli scambi non consentiti. La Zte aveva detto di aver rimosso alcuni impiegati di alto livello, ma altri erano restati ai propri posti; alcuni avevano avuto pure promozioni).

La punizione trumpiana alla Zte era stata anche una dimostrazione di forza: senza la componentistica fornitagli dalle aziende statunitensi (che rappresentano circa il 30 per cento dei fornitori, per un business da 2,3 miliardi di dollari) la ditta cinese non sarebbe in grado di lavorare. E questo è il grande cruccio del presidente Xi Jinping, che per tale ragione ha progettato il piano con cui entro il 2025 vuol rendere completamente autonomi i settori più tecnologici dell’industria cinese.

Secondo le fonti di Reuters, Zte avrebbe accettato di pagare una multa piuttosto salata (il numero, non definitivo: 1,7 miliardi) e di tagliare qualche testa di peso nel suo board amministrativo nel giro di 30 giorni, in cambio della riqualificazione operativa: praticamente Washington ottiene un’altra ammissione di colpa, da usare anche come leva politica, mentre Pechino può far riprendere le attività alla propria società.

La decisione non è stata presa bene al Congresso: legislatori di entrambi i partiti hanno criticato il passo indietro di Trump come segnale di indecisione. “Riportando la Zte fuori dai guai, il presidente ha dimostrato che ruggisce come un leone, ma governa come un agnello quando si tratta di Cina”, ha detto il leader democratico del Senato Chuck Schumer in una dichiarazione in risposta allo scoop di Reuters sull’accordo preliminare. “Il Congresso dovrebbe muoversi in modo bipartisan per bloccare immediatamente questo accordo”, ha aggiunto Schumer, facendo leva anche sul fatto che la Zte (così come la Huaweii) sono aziende considerate problematiche per la sicurezza nazionale americana: le intelligence infatti credono che i loro prodotti possano essere pieni di porte di accesso nascoste per eventuali operazioni di spionaggio cinesi.

La vicenda della Zte si inquadra in un confronto più ampio in ambito commerciale tra le due più grandi economie del mondo: meglio, ne è diventata un simbolo e il deal può aprire scenari più ampi. Intanto le trattative tra Stati Uniti e Cina – con cui i primi vorrebbero arrivare almeno alla riduzione di una bella fetta dello sbilancio commerciale sofferto, e i secondi chiudere un qualche accordo per non finire più impantanati in situazioni come quelle della Zte – si sono chiuse domenica scorsa (il 3 giugno) senza nessun annuncio definitivo. Per ora.


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