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L’arte del contratto (di governo). Un nuovo modo di fare politica

crisi, governo di maio salvini conte

La formula del contratto di governo, che regge l’esecutivo Conte, è un paradosso politico. È la prima volta che non si parla di accordo, patto o alleanza tra forze di maggioranza, ma di contratto. A ben vedere, il “contratto con gli italiani” sottoscritto a Porta a Porta da Silvio Berlusconi non può essere considerato un vero precedente, perché rivolto agli elettori. Ora, la politica è l’arte del possibile, ma è altresì vero che, nel nostro ordinamento, l’istituto del contratto ha il suo primario riferimento nell’art. 1321 del Codice civile: “Il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale”. Nella definizione, centrale è il contenuto economico dell’accordo.

Ecco perché il contratto Lega-M5S è paradossale. Le due forze che hanno vinto le elezioni impegnandosi a superare la matrice liberista dell’azione politica, italiana e comunitaria hanno utilizzato proprio l’armamentario concettuale del mercato per siglare l’accordo sul programma di governo. È evidente che dietro tale opzione c’è la volontà di dare evidenza al cambiamento. Si rinnova la politica, si rinnova il suo lessico. Epperò, la scelta del contratto, più che simboleggiare l’avvenuta restaurazione della supremazia della politica sull’economia, rischia di celebrare il trionfo di quest’ultima, i cui paradigmi concettuali, dopo aver strabordato nella società civile, esondano anche nelle istituzioni.

Si deve al giurista vittoriano Henry James Sumner Maine l’aver intuito come la transizione della società verso il moderno sia segnata dal passaggio “dallo status al contratto”: dai rapporti sociali basati su un ordine prestabilito a quelli definiti liberamenti dagli individui. L’italico contratto di governo è l’emblema dell’evoluzione di questa transizione nella post-modernità. Il contratto, componendo interessi diversi e spesso contrapposti, evoca di per sé accordi transitori e transeunti. Accordi certamente meno solidi e organici di quelli che, nel comune sentire, trovano espressione in patti e alleanze. Non un matrimonio, ma una convivenza, se non una coabitazione. Ed è, forse, questo il messaggio che Lega e M5S hanno voluto dare. Insomma, alla società liquida corrisponde un governo liquido.

Ben differente è, però, il modo di ragionare e il contesto giuridico-istituzionale nel quale si muove quella euro-burocrazia che l’attuale governo intende mettere in discussione. Per l’Unione europea più che mai la transizione è “dal contratto allo status”. Non solo da singoli accordi su questo e quel settore economico si è passati a regolamentazioni unitarie, ma da queste si è transumati alla governance di istituzioni centralizzate. Istituzioni dotate di poteri politicamente insindacabili e di immunità che le sottraggono alla giurisdizione statuale. Basti pensare al meccanismo europeo di stabilità. Ancorché noto come Fondo salva Stati, è una organizzazione internazionale le cui attività e i cui beni godono dell’immunità da ogni forma di processo giudiziario.

Non solo. Anche il personale è salvaguardato da possibili azioni giudiziarie per gli atti compiuti nell’esercizio delle proprie funzioni e gli atti e i documenti ufficiali sono protetti rispetto all’accesso dei terzi. Agli stessi princìpi risponde, sostanzialmente, il regime della Banca centrale europea. Si dirà che si tratta di organizzazioni tecniche, ma è altrettanto vero che la loro attività ha un alto valore politico, condizionando l’azione dei governi nazionali. E infatti, storicamente, le immunità sono nate per proteggere le istituzioni politiche e non già quelle tecniche.

Ma non è questo il punto. La questione è che mentre l’Europa consolida i propri organi, quelli nazionali sembrano coltivare un cupio dissolvi, come raccontano, più di mille parole, le foto del premier designato che entra al Quirinale con lo zainetto e il trolley, quasi fosse un turista qualsiasi. Ma la transizione “dallo status al contratto”, se è fonte di libertà nelle dinamiche sociali, in quelle politiche è esiziale. Come in Europa, anche in Italia tanto più la società è liquida tanto più sarebbero necessarie istituzioni salde e forti. Anche perché, è notorio, natura abhorret a vacuo (“themis” – formiche n. 138/2018).

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