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Il futuro delle banche? Ecco perché serve una strategia di respiro lungo

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“Why banks must take the long view”. Perché il sistema bancario deve dotarsi di una strategia di lunga durata. Il problema se lo pone The Banker il mensile inglese di affari finanziari del Financial Times. Nelle scorse settimane un breve ma incisivo editoriale ha aperto una riflessione sul futuro degli intermediari creditizi e finanziari. Rapidi e inarrestabili cambiamenti tecnologici, economici e sociali hanno creato profonde fratture nel sistema e crisi finanziarie aprendo la strada a rapidi percorsi di accentuazione delle disuguaglianze. Problemi ai quali, almeno fino a ora, le istituzioni esistenti e la leadership politica mondiale non sono riusciti a dare risposte adeguate. Il problema è ancora più marcato, secondo l’autorevole opinionista britannico, se si pensa al paradosso prodotto dal nuovo modello economico, che proprio lo sviluppo tecnologico ha realizzato e che avrebbe e dovrebbe, almeno a livello teorico, condurre a un’età d’oro di prosperità e libertà.

L’editoriale, nel porre il problema, richiama, condividendone evidentemente il senso più profondo, un saggio pubblicato nell’edizione di maggio/giugno del Foreign Affairs – l’autorevole rivista statunitense dedicata appunto ai problemi internazionali – del professore, saggista e opinionista di politica estera, Walter Russell Mead. “The Big Shift” è il titolo del saggio nel quale si paragona la situazione attuale, il “grande cambiamento”, che l’economia e la struttura sociale del mondo occidentale stanno vivendo con un cambiamento simile e altrettanto profondo che lo stesso mondo, in particolare quello statunitense, visse nei trentacinque anni che seguirono la Guerra civile americana a causa della rivoluzione industriale. Un periodo di straordinaria importanza che va dal 1865 al 1900 e che, per gli Stati Uniti, segna la trasformazione della propria economia nella più grande e avanzata economia industriale del mondo, permettendogli di superare la supremazia del Regno Unito quale maggiore potenza manifatturiera. Gli Stati Uniti, ma – aggiungiamo noi – tutto il mondo occidentale, si trova, oggi, in una situazione simile. La rivoluzione tecnologica sta sconvolgendo l’ordine sociale ed economico del Paese tanto profondamente quanto la rivoluzione industriale nell’800. Le ideologie, le contrapposizioni politiche che hanno caratterizzato le precedenti generazioni, non parlano più a nessuno, non sono più utili ai problemi che pone il nostro tempo. Gli stessi partiti politici degli Stati Uniti e la maggior parte dei rispettivi leader politici – sostiene sempre Russell Mead – mancano di una visione e delle idee necessarie per affrontare i problemi più urgenti, così come le élite intellettuali che sono ancora troppo legate al passato, a paradigmi che non funzionano più. Il saggio di Russell Mead, nel ripercorrere quei 35 anni che chiusero l’800 approfondisce, passaggio per passaggio, il paragone con gli anni che stanno aprendo il nuovo millennio con un filo conduttore caratterizzato dall’ottimismo della certezza che, ancora una volta, “gli Stati Uniti possono trovare il loro percorso verso una società aperta e umana che sfrutti le ricchezze che la nuova economia produrrà” e questo grazie alla capacità di far fronte al cambiamento quale “maggiore fonte di forza degli stessi Stati Uniti”. Come allora, continuando nel paragone, è probabile che fino a quando la rivoluzione in atto non sarà conclusa e il mondo non avrà trovato un suo nuovo e più avanzato assetto in termini sia economici che sociali, non potrà essere ben chiaro come “ogni istituzione – dallo Stato, alla famiglia, alla corporazione – sarà cambiata in maniera radicale” visto che “ci vorrà molto tempo prima che diventi chiaro come potrebbe apparire un’economia dell’informazione matura”.

La sfida è certamente immensa. Ciò che sta accadendo è però un’opportunità e non un disastro ed è reale la possibilità di raggiungere livelli inimmaginabili di ricchezza e di libertà. Il confronto su questo tema è, dunque, aperto e il sistema bancario, rispetto ad esso, non può e non deve restare indietro. Le banche devono lavorare e studiare per identificare il profilo e le esigenze dei diversi settori sociali ai quali si rapportano. Il consumatore, la famiglia, l’imprenditore, sono figure, anch’esse in via di profonda trasformazione che chiedono alla propria banca una consulenza finanziaria sempre più personalizzata. Per quanto riguarda il lavoro, una sempre più grande percentuale di piccole imprese sono, oggi, costituite da liberi professionisti autonomi che operano nella cosiddetta gig o sharing economy. Realtà, dunque, estremamente diversificate che aprono un enorme spazio alle richieste di sistemi che aiutino i nuovi protagonisti economici a gestire le proprie finanze, risparmiare, investire, pagare i tributi, sostenere sanità e istruzione o costruire le necessarie coperture assicurative e previdenziali per garantirsi, ad ogni età, salute, educazione e benessere.

Una considerazione emerge più di tutte da questi primi approfondimenti ed è l’estrema frammentazione che caratterizza e caratterizzerà sempre più l’economia del prossimo ciclo. A questa frammentazione che richiede la diversificazione delle risposte e delle offerte, la biodiversità dei soggetti creditizi, rappresenta un elemento che sarà strategico nella definizione dell’assetto futuro del sistema bancario. Un bene, un valore che l’Italia ben conosce e che può portare in Europa quale contributo alla definizione di una visione strategica del posto che le banche occuperanno nel sistema economico che si va delineando. Un sistema che, comunque sia, non potrà prescindere dall’economia reale, l’unica in grado di produrre un effettivo miglioramento del tasso di benessere generale e dalla crescita sociale e culturale unica in grado di elevare il livello di libertà dell’umanità senza farne smarrire la propria identità.

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