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Sulle Bcc vince il ministro dell’Economia. La riforma è salva nonostante il restyling

Alla fine la boccata di ossigeno è arrivata. Le Bcc potranno ritrovare un po’ della loro natura e identità, nonostante la riforma del credito cooperativo datata 2016, vada avanti nel suo percorso. Il governo gialloverde aveva promesso un intervento sulle Bcc e così è stato. Nonostante Giovanni Tria, ministro dell’Economia, sia riuscito nei fatti a imporre la sua linea sulle banche cooperative: no alla disintegrazione della riforma, sì ai ritocchi.

Il responsabile del Tesoro si è sempre detto contrario a un blocco totale della riforma (peraltro già in stato più che avanzato, con le istanze delle capogruppo all’esame del board Bce). Il premier Conte deve averlo ascoltato dal momento che ha rimandato gli effetti della riforma di sei mesi e non certo di anni e senza snaturarne l’impianto.

La filosofia a monte dei provvedimenti sulle Bcc, approvati questa mattina in un Consiglio dei ministri lampo (45 minuti), nell’ambito del più ampio Milleproroghe, è quella di restituire un po’ più di indipendenza alle singole banche. Rinforzarne insomma il tradizionale legame con il territorio a discapito di quello, nascituro, con le capogruppo (Iccrea, Cassa centrale e le Raffeisen altoatesine).

Per dirla con le parole del premier oggi “rafforziamo la finalità mutualistica e il radicamento nel territorio di questi organismi bancari”. Tra gli obiettivi delle misure oltre all’allungamento da 90 a 150 giorni dei tempi per la valutazione dei patti di coesione e l’adesione alle holding, anche una modifica delle norme sulla composizione del gruppo bancario cooperativo.

Il governo legastellato ha inteso tutelare in maniera più incisiva il carattere mutualistico delle Bcc, correggendo sul punto la riforma Renzi, confermata invece sotto l’aspetto del rafforzamento patrimoniale degli istituti, visto che comunque sono tante le piccole banche cooperative che non possono fare a meno di fondersi.

Il legame con il territorio, ha spiegato il ministro Tria, viene raggiunto elevando fino al 60%  la quota minima della capogruppo detenute dalle singole Bcc. In questo modo aumenterà il peso delle banche cooperative all’interno delle tre holding le quali dovranno a loro volta tener necessariamente conto delle esigenze delle Bcc. In caso di necessità, tale quota minima di capitale potrà essere ridotta tramite un Dpcm, provvedimento che offre maggiori garanzie rispetto alla semplice delibera del Mef prevista attualmente. Infine, il numero minimo dei rappresentanti delle Bcc aderenti nel cda della capogruppo cresce fino alla metà +2 dei componenti.

 


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