Dieci e lode all’azzardo, cinque e mezzo al fisco e sei meno al lavoro. Il decreto dignità appena firmato dal Capo dello Stato, Sergio Mattarella e pubblicato in Gazzetta Ufficiale, è anche una questione di pagelle. Gioie e dolori, secondo Leonardo Becchetti, che al capitolo più caldo e discusso, quello sul lavoro con annessa stretta sui contratti a termine, riserva una sufficienza stiracchiata.
Ma l’economista e giuslavorista, raggiunto da Formiche.net nel pomeriggio, non se la sente di buttare a mare tutto il provvedimento tanto caro a Luigi Di Maio. Anzi. “Il voto più alto lo do alla disciplina sul gioco d’azzardo. È la cosa migliore del decreto, in Italia ci sono tre milioni di persone a rischio ludopatie, si tratta di un provvedimento sacrosanto, era giustissimo intervenire. Mi sono sempre espresso in questo senso e sul tema i Cinque Stelle sono sempre stati sensibili. Hanno abolito una pubblicità ingannevole e subliminale che induce l’idea della vincita”, spiega Becchetti.
L’altro cardine del decreto, è il lavoro. I voucher, per ammissione dello stesso Di Maio, potrebbero rientrare dalla finestra in Parlamento, dove il provvedimento è atteso a fine luglio. Becchetti si dice sostanzialmente d’accordo, “tutto sommato non è una proposta malvagia”. Ma è sulla stretta ai contratti a tempo determinato che l’economista ha qualche dubbio in più. “Non credo che il decreto dignità farà aumentare i posti di lavoro, anzi. Se vado a stringere sui contratti non necessariamente creo posti di lavoro”.
Breve parentesi tecnica: non è un caso forse che nella relazione tecnica che accompagna il provvedimento, proprio in merito alla stretta delle durate venga calcolato come in base ai dati del ministero del Lavoro sono circa 2 milioni i contratti a termine attivati ogni anno. Di questi il 4% supera i 24 mesi dunque va oltre al tetto di due anni fissato dal decreto. Ebbene, di questi 80 mila rapporti oltre i due anni i il 10% stima il governo nella relazione tecnica, vale a dire 8 mila, andranno persi ogni anno.
Tornando a Becchetti, ne ha anche per delocalizzazioni e fisco. Sulle prime, senza dubbio la norma che obbliga a restituire i bonus statali ricevuti chi delocalizza entro 5 anni dai benefici, “è interessante. Tuttavia faccio notare come per un’azienda certe volte andare all’estero o diversificare è anche una questione di sopravvivenza. Però è giusto il principio che se lo fai non hai diritto agli incentivi. È un disincentivo alla delocalizzazione che può funzionare”.
Gran finale, il fisco. “Servivano provvedimenti più incisivi, più severi, il mio voto è cinque e mezzo. È stata certamente alleggerita la portata rispetto all’idea iniziale con i ritocchi al redditometro e lo slittamento della scadenza dello spesometro, ma si poteva fare di più, penso al contante. Un’occasione persa”.
Un voto al decreto dignità lo ha dato Michel Martone. “Do un 5, rimandando il decreto alla fine del suo iter parlamentare, quando sarà convertito in legge. Ci sono delle cose che non vanno. Sulle imprese, la norma anti-delocalizzazioni mi trova d’accordo nel principio ma nella pratica più che un incentivo a non andarsene mi sembra un incentivo a non venire. Per quanto riguarda i contratti, credo che ci saranno dei problemi perché nei fatti le imprese avranno più difficoltà ad assumere. Senza considerare l’incertezza che tutto questo comporterà”. Una volta si sarebbe detto, rimandato a settembre.