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Cdp, la corazzata di Stato affidata alle cure di Fabrizio Palermo

Fabrizio Palermo sta per salire nella plancia di comando di una corazzata da 400 miliardi di euro in termini di attivo patrimoniale, tra asset e partecipazioni detenute. Cassa Depositi e Prestiti, la cassaforte uscita dal perimetro della Pa per iniziativa dell’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti, fino a questa mattina al centro di un braccio di ferro sulla governance tra Movimento Cinque Stelle-Lega e l’attuale responsabile del Tesoro, Giovanni Tria. Nodo sciolto poche ore fa in un vertice a Palazzo Chigi tra il premier Giuseppe Conte, il sottosegretario alla presidenza del consiglio, Giancarlo Giorgetti, Luigi Di Maio e lo stesso Tria, dal quale è emerso il nome del successore di Fabio Gallia.

Maneggiare la Cdp non è compito facile, anche per Palermo (qui la fotogallery), ex analista finanziario, consigliere di Fincantieri e ora, anche se manca l’ufficialità del Tesoro nuovo ceo della Cassa. Una scelta interna visto che Palermo è anche cfo di Cdp da ben quattro anni. Il che gli consente di arrivare al vertice di via Goito (insieme al presidente degnato dalle Fondazioni azioniste al 19,9%, Massimo Tononi), con buona conoscenza e padronanza dei principali dossier.

Cominciando dalle partecipazioni, guidare la Cassa oggi equivale ad avere voce in capitolo nelle principali società italiane a partecipazione pubblica, quotate o no che siano. Per esempio Eni (25,7%), Poste (35%), Terna (29,8%), Snam (30%), Fincantieri (71%), Saipem e anche Tim. Quest’ultima rappresenta l’ultimo vero grande ingresso di Cdp, la scorsa primavera, su input dell’ex governo Gentiloni con l’obiettivo di assicurarsi un ruolo in sede di spin off della rete (Cdp è azionista paritetica al 50% insieme a Enel di Open Fiber). Tra le non quotate spiccano i Fondi italiani per gli investimenti (43%) e per le infrastrutture (14%), oltre alle società Sace (passata dal cappello del Tesoro a quello di cdp) e Fintecna, ambedue controllate al 100%.

Tutto questo si regge su un tesoro di 400 miliardi tra quote in decine di aziende e vari asset patrimoniali ma soprattutto su 250 miliardi di risparmio postale che la Cassa raccoglie dal 1875, tra libretti dei pensionati, di risparmio, oltre ai conti correnti aperti presso le Poste. Denaro privato, ma rimesso in circolo dalla Cassa con un meccanismo che ricorda agli storici quel credito di guerra usato come volano per tenere in moto le economie e garantire lo sviluppo.

Poi ci sono i dossier, passati, presenti e futuri. Partendo dall’ultimo biennio, Cassa ha per esempio investito circa 600 milioni per il fondo Atlante, il veicolo concepito per rilevare i crediti deteriorati delle banche in crisi (come Popolare di Vicenza e Veneto Banca) e oltre 900 milioni per l’ edilizia scolastica. In primavera, come detto, l’ingresso in Tim, in pieno scontro tra il Fondo Elliott e Vivendi,  deciso per assicurare all’Italia un ruolo nella futura partita per la rete.

Ancora, pochi giorni fa, l’accordo con il Fondo Europeo per gli Investimenti per il lancio del fondo Caravella che punta a sostenere finanziariamente i business angel che investono parte delle proprie risorse personali start up italiane. Infine la banda larga, con la commissione europea e la Banca europea per gli investimenti (Bei) che insieme con la tedesca KfW, Cdp e  la Caisse des Dépôts francese, hanno annunciato un primo finanziamento di 420 milioni di euro a favore del Connecting Europe Broadband Fund (Cebf) con l’obiettivo di finanziare la banda larga nelle aree d’Europa in digital divide.

E il futuro? Palermo potrebbe trovarsi sul tavolo alcuni dossier che dire caldi è poco. Uno di questi potrebbe essere Alitalia vista l’ormai conclamata intenzione del governo gialloverde di ri-nazionalizzare la compagnia, mantenendo una quota del 51% in pancia allo Stato. Un’operazione che potrebbe tirare in ballo direttamente Cdp, così come per l’Ilva, qualora saltasse la cessione a Mittal (qui l’intervista odierna a Corrado Clini). Sempre che l’Ue sia d’accordo.

 

 

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