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Usa e Cina ancora alle prese con la guerra commerciale. Il rilancio di Trump

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Dalla mezzanotte (ora americana) sono diventati effettivi i dazi del 25 per cento decisi dall’amministrazione Trump contro alcuni prodotti cinesi: sembra peraltro che si tratti di una prima tranche operativa, dal valore commerciale di 34 miliardi di dollari, imposti su centinaia di prodotti – la seconda fase dovrebbe portare l’ammontare totale delle importazioni colpite (intanto) a 50 miliardi, come annunciato dallo stesso Donald Trump.

Il governo cinese ha dichiarato che l’entrata in vigore delle misure statunitensi significa che Washington ha deciso di lanciare la più grande guerra commerciale della storia. “La Cina è costretta a contrattaccare per salvaguardare i principali interessi nazionali e gli interessi della sua popolazione”, ha dichiarato il portavoce del ministero del Commercio cinese, accusando gli americani di “tipico bullismo”; la mezzanotte statunitense, ora dell’East Coast, corrisponde al mezzogiorno nella capitale cinese.

Pechino prevede contro-misure simmetriche, anche se per il momento non ha fatto sapere quali saranno i prodotti colpiti; probabile generi agricoli, alimentari, l’automotive, ma il cuore del confronto resterà quello dell’hi-tech, dove al di là dei dazi, cinesi e americani combattono per dominare il mercato globale non solo attuale, ma per i prossimi decenni. Fondamentalmente, infatti, Trump e i suoi collaboratori, credono che alzare le tariffazioni sia sono necessario per spingere la Cina ad abbandonare pratiche sleali come il furto di proprietà intellettuale subito dalle aziende tecnologiche statunitensi per mano delle operazioni di spionaggio del Dragone.

La questione delle nuove, dure tariffe commerciali contro Pechino è un long-standing di Trump: ne parla fin dai tempi della campagna elettorale come strumento America First, perché le ritiene uno step necessario sia in termini punitivi, come detto, sia per riequilibrare lo sbilancio import-export – dal valore di 300 miliardi di dollari – sofferto dagli Stati Uniti con la Cina. Da tempo sono state annunciate, con risposte cinesi, e anche su questo hanno ruotato finora i colloqui dei gruppi di contatto, formati da delegazioni di alto livello spedite dai rispettivi governi a negoziare una qualche forma di intesa.

Un paio di mesi fa, è anche parso che si potesse intravedere una soluzione: dopo tre round di negoziati, la Cina sembrava aver accettato di aumentare di 200 miliardi di prodotti di suoi acquisti “made in Usa”, tanto che il dipartimento del Commercio americano (su ordine del presidente) aveva sospeso la procedura di introduzione dei dazi già avviata, ma poi la trattativa è scivolata e il 15 giugno sono stati definitivamente varati.

Già prima di oggi, la disputa commerciale tra le due principali economie mondiali aveva scosso i mercati, e provocato allarmi da parte delle aziende per possibili danni ai loro profitti e prezzi più alti per i consumatori. Anche la Fed, la banca centrale americana, ha espresso timori per quanto riguarda gli investimenti piazzati (in Cina, ma lo scombussolamento potrebbe essere molto più ampio) e quelli ricevuti dagli Stati Uniti, che hanno Pechino come primo cliente del proprio debito pubblico.

Ora il punto è capire fino a che punto questo scontro ormai aperto si spingerà: le misure cinesi potrebbero portarsi dietro la contro-risposta americana, con l’implementazione su quegli altri sedici miliardi già annunciata dal presidente, e conseguentemente creare un’altra azione di Pechino e aprire una catena complicata.

Parlando con i giornalisti a bordo dell’Air Force One, Trump ha detto: “Trentaquattro, e poi ne avrete altri 16 in un paio di settimane e poi, come sapete, abbiamo 200 miliardi in sospeso e poi dopo i 200 miliardi ne abbiamo 300 di miliardi in abeyance, ok? […] Quindi abbiamo 50 più 200 più quasi 300″ (il numero totale è pazzesco, 550 miliardi di dollari su cui imporre dazi: significa andare addirittura oltre il valore dei beni che gli Stati Uniti hanno importato dalla Cina lo scorso anno).

Gli analisti credono che se invece tutto si fermerà qui, anche con una misura simmetrica cinese, ci saranno alcune industrie che subiranno il colpo, ma in generale il mercato globale assorbirà anche questa fase ruvida del confronto tra le due più grosse economie del mondo.

Il punto, come ha spiegato alla CNN Money Scott Kennedy, direttore del Project on Chinese Business and Political Economy al think tank Center for Strategic and International Studies, è che “minacciando un’azione unilaterale senza avere alleati e senza ridurre la discordia domestica sul commercio, l’amministrazione Trump ha invitato la Cina a resistere”. Washington in questo momento è in effetti piuttosto isolata in ambito commerciale, perché l’introduzione di altri dazi, quelli su acciaio e alluminio, ha notevolmente incrinato i rapporti con Canada e Unione europea.

Però, aggiunge Kennedy, “l’amministrazione Trump crede anche che almeno l’inizio di una guerra commerciale sia nel suo interesse, l’economia americana è abbastanza forte da sopportare uno scricchiolio nel commercio, la posizione politica interna del presidente è più forte che mai tra i repubblicani, e spinge con forza la Cina sul commercio può aiutare a ripristinare la credibilità degli Stati Uniti su altre questioni”.

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