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Caro Conte, perché (e come) evitare uno scontro fra i due vicepremier e Tria

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L’Italia si sta preparando alla campagna d’autunno nel peggiore dei modi. Alcuni ritengono che il principale ostacolo alla realizzazione del programma di governo del cambiamento sia Giovanni Tria. La sua prudenza, ritenuta a torto mancanza di coraggio. Ma quando si è seduti su una montagna di debiti, le esortazioni non bastano. Il confine tra l’ardimento e l’avventurismo, in questo caso, è sottile come un foglio di carta velina. Ed un’eventuale rottura ci ricadrebbe sulla testa, rendendo più difficile ogni possibile quadratura del cerchio.

Basterebbe un ulteriore piccolo rialzo degli spread per buttarci fuori strada. La maggiore spesa per interessi saccheggerebbe le poche risorse che sono ancora disponibili, togliendo ulteriore ossigeno a riforme (fisco e lotta alla povertà) che sono, invece, indispensabili. Né sarebbe sufficiente chiamare in causa altri Paesi, come la Francia o la Spagna, che in passato si sono comportati in modo diverso, infischiandosene delle reprimende europee.

Nei loro confronti era scattata comunque la “procedura d’infrazione” che in alcuni casi (la Spagna) un effetto l’ha avuto, in altri (la Francia) molto meno. Il cartellino giallo contro Madrid ha comportato nel tempo una lievitazione dei tassi di interesse pagati per il rinnovo dei titoli emessi. Per un lungo periodo essi sono stati superiori a quelli italiani di oltre 50 punti base. Oggi i Bonos pagano per il maggior rischio 92 punti base. I BTP italiani a 10 anni 230.

La Francia, invece, non ha pagato dazio. Ma questo si deve, soprattutto, ad un rapporto privilegiato con la Germania, che si è consolidato nel tempo. Non si dimentichi che, già durante la crisi del 1993, l’unica moneta a non deprezzarsi fu il franco francese, mentre la sterlina inglese e la lira italiana subivano una perdita di oltre il 30 per cento. Fu l’intervento della Bundesbank a salvarne le tasche e la dignità. In omaggio a quell’asse, che già da allora dominava l’Europa.

Due ulteriori elementi hanno inoltre contribuito a giustificare la clemenza dei mercati: il basso valore di allora del rapporto debito – Pil, rispetto al caso italiano e un tasso di crescita delle rispettive economie notevolmente superiore. Segno evidente che le maggiori risorse, ottenute da un deficit più elevato, erano ben utilizzate e non distribuite a pioggia, come avveniva in Italia, alimentando soprattutto la spesa di parte corrente. Mentre quella in conto capitale subiva drastici ridimensionamenti.

Ma già oggi, che il rapporto debito – Pil è fortemente aumentato, in entrambi i Paesi, avvicinandosi al 100 per cento, la musica è cambiata. A Parigi e Madrid, a seguito della “procedura d’infrazione”, la legge di bilancio è scritta sotto dettatura. Con l’affiancamento quasi fisico del tecnici della Commissione europea. É questo che si vuole anche in Italia? Vogliamo sostituire Giovanni Tria con gli sherpa di Moscovici? Ma forse non ce ne sarà nemmeno bisogno visto la quasi certa risposta negativa dei mercati. Che farà crollare l’intera montagna di carte.

Per scongiurare quindi un inutile braccio di ferro tra il Ministro dell’economia ed i due vice-presidenti del Consiglio è necessario muoversi subito. Compito che spetta al Presidente del Consiglio: Giuseppe Conte. Prenda carta e penna, come ha fatto per gli immigrati, e scriva a Jean-Claude Juncker. Gli chieda di avviare, quanto prima, una discussione sul Fiscal Compact, come prescritto dall’articolo 16 del relativo Trattato. Anzi lo metta in mora, considerato che questo compito è stato finora disatteso.

Dimostrerà che l’Italia non si appresta a compiere nessun atto unilaterale volto a sforare il tetto del 3 per cento. Ma, al tempo stesso, e a differenza del passato, non intende subire inutili e dannose imposizioni. E quindi se il deficit dovesse, alla fine, aumentare, questo dipenderà solo dall’inerzia europea, che preferisce violare i Trattati, piuttosto che avviare il necessario confronto. La dimostrazione di possedere una lunga coda di paglia, unita ad una cieca ostinazione nella difesa di uno “stupido” Patto – copyright di Romano Prodi quand’era al posto di Juncker – che, invece, come tutte le cose di questo mondo, andrebbe aggiornato per tener conto dei tempi che sono cambiati.

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