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Conte a Washington fa all-in su Libia e Mediterraneo. Trump richiama l’Italia su Tap, Iran e sanzioni alla Russia

Poteva ridursi a una stretta di mano, e invece così non è stato. Come da aspettative il viaggio americano di Giuseppe Conte si è dimostrato qualcosa di più di una visita di bon ton allo Studio Ovale. La simpatia che il presidente americano Donald Trump nutre nei suoi confronti, ribadita davanti ai cronisti (“abbiamo sviluppato un’amicizia al G7 e nel corso di alcune telefonate”), è stato un buon terreno da cui partire. “Siamo due outsider della politica” ha scherzato Trump in conferenza stampa, “il governo italiano e l’amministrazione americana sono due governi del cambiamento” gli ha fatto eco Conte. Il feeling ha facilitato l’intesa su alcuni dei dossier ritenuti urgenti dal governo gialloverde. Trump ha chiesto al governo tricolore di seguirlo su politica energetica (avanti tutta con il Tap) e politica estera (sanzioni alla Russia e muso duro con l’Iran di Rohani).

Conte da parte sua può vantare un all-in a Washington: il primo, clamoroso annuncio è la nascita di una cabina di regia Italia-Usa per il Mediterraneo contro il terrorismo e il traffico di esseri umani. È la prima volta dall’inizio dell’emergenza immigrazione che gli Stati Uniti decidono di farsi carico del fronte meridionale europeo. Con il si di Washington l’Italia diviene “interlocutore privilegiato” degli americani in Europa e ha dalla sua parte un’arma formidabile per controbilanciare l’assertività dei francesi in Nord Africa.

“Per Giuseppe Conte la visita alla Casa Bianca non rappresenta soltanto un successo di politica estera, quanto un successo spendbile in chiave interna” commenta a caldo il direttore del Centro Studi Americani Paolo Messa. “Il premier invisibile ne esce rafforzato” continua, “c’è da scommettere che diventare Giuseppe Conte ‘l’amico di Trump’ gli gioverà più che essere semplicemente il professor Conte”.

Eccetto un piccolo e dovuto richiamo sul deficit commerciale fra Italia e Usa, l’intervento di Trump è stato un continuo elogio dell’alleato italiano. Non è un atto dovuto per il Tycoon, che ad altri colleghi europei (Angela Merkel, ad esempio) ha riservato un’accoglienza assai meno calorosa. Inutile dirlo, la Casa Bianca è entusiasta di come il governo italiano sta gestendo l’emergenza migratoria. “Io e Conte siamo entrambi d’accordo sulla necessità di proteggere le nostre nazioni da terrorismo e immigrazione senza controllo”. Poi l’annuncio, un po’ a sorpresa, di voler innescare uno shutdown del governo Usa se a settembre non sarà trovata una soluzione per il confine messicano. Se il muro non s’ha da fare, ha minacciato il presidente, “non avrò alcun problema a fare scattare uno shutdown”. La notizia ha preso di sobbalzo i cronisti americani e si candida ad occupare le prime pagine dei giornali a stelle e strisce nelle prossime settimane.

L’entusiasmo del Tycoon non si limita al pugno duro italiano nel Mediterraneo. Trump ha voluto ringraziare l’Italia per il suo ruolo pivotale nella regione: “riconosciamo il ruolo di leadership dell’Italia nell’Africa del Nord”, ha esordito. La cabina di regia congiunta, ha rincarato Conte, dà vita a un vero e proprio “gemellaggio” fra Washington e Roma per affrontare la crisi libica. Il secondo successo incassato dal premier fiorentino è la conferma della partecipazione americana alla conferenza internazionale sulla Libia convocata a Roma a settembre. Benché i due leader abbiano sorvolato sul tema in conferenza stampa, fonti accreditate di Palazzo Chigi hanno confermato l’ok della Casa Bianca. L’apporto americano dà credibilità e forza all’iniziativa italiana e riconsegna nelle mani della penisola il timone delle operazioni in Libia. Le stesse fonti hanno poi fatto trapelare l’ottimismo del governo sull’escalation a suon di dazi fra una parte e l’altra dell’Atlantico. Il presidente del Consiglio avrebbe chiesto a Trump di risparmiare le aziende italiane impegnate nell’agroalimentare, uno dei settori più a rischio in caso di guerra commerciale. In conferenza stampa Conte si è poi congratulato con Trump definendo “fondamentale l’intesa tra il presidente del consiglio europeo (Jean-Claude Juncker, ndr) e gli Stati Uniti per creare un commercio più equo che sia positivo per i cittadini Italiani e quelli europei”.

Benché non sia stato nominato esplicitamente, in conferenza stampa Conte ha fatto capire di aver rassicurato l’amministrazione Usa sulla realizzazione del condotto Tap, un dossier particolarmente caro agli americani, che tramite il dipartimento di Stato nei giorni scorsi avevano chiesto al governo italiano di procedere a ritmo spedito. “Sulla sicurezza energetica ci siamo trovati d’accordo sulla necessità di una piú efficace diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetiche e delle rotte dell’energia” ha chiosato Conte. La parola “diversificazione” ha un significato geopolitico preciso: come ha notato lo stratega americano Edward Luttwak su Formiche.net, “comprare il gas dall’Azerbaijan rafforza un amico, comprarlo dalla Russia rafforza un nemico”.

Solo un breve accenno al fascicolo più atteso del bilaterale alla Casa Bianca: i rapporti con la Russia di Vladimir Putin. Di ritorno dal summit di Helsinki Trump ha dovuto fare i conti con il fuoco incrociato di opposizioni, stampa, diplomazia e vertici militari, che lo accusano di aver ceduto alla narrativa russa su tutti i dossier, fino a sbeffeggiare le indagini dell’intelligence Usa. Forse per questo nel briefing con i giornalisti i due hanno preferito liquidare in fretta il tema. “Il dialogo tra gli Stati Uniti e la Russia è fondamentale per sicurezza globale” ha spiegato Conte. Incalzati dai giornalisti, i due leader hanno dovuto affrontare uno dei temi più spinosi: le sanzioni contro il Cremlino. E qui si è dovuta registrare una certa divergenza, quantomeno nei toni. Conte, capo di un governo che ha messo nero su bianco in un contratto la revisione delle misure restrittive contro Mosca, ha ricordato che “le sanzioni non possono costituire un fine, e dobbiamo premurarci affinché non colpiscano la società civile russa”. Il presidente americano, conscio dell’impatto (mediatico, giudiziario, politico) che il ciclone russo sta avendo sulla sua amministrazione, ha optato una volta tanto per la linea della fermezza, senza lasciar spazio a interpretazioni: “le sanzioni alla Russia rimarranno così come sono”.

Ultimo nodo da sbrogliare: trovare una linea di politica estera comune nei confronti dell’Iran. Un obiettivo ambizioso, specie per un Paese come l’Italia, che per seguire Trump nella sua escalation contro Teheran deve giocoforza allontanarsi dall’asse europeo, da sempre sostenitore dell’accordo sul nucleare (Jcpoa) e di un’opzione diplomatica per portare Hassan Rohani a più miti consigli. Non senza un moto di sorpresa di Conte, Trump ha voluto giocare d’anticipo mettendo alle corde il collega italiano: “siamo d’accordo sul fatto che il regime brutale dell’Iran non entri mai in possesso di armi nucleari e incoraggiamo tutte le nazioni a metterle sotto pressione perché ponga fine all’arricchimento dell’uranio”.


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