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Perché Google va alla guerra contro le criptovalute

I colossi della Silicon Valley dichiarano “guerra” alle app che producono criptovalute. Dopo Apple, anche Google mette infatti al bando, sul suo Play Store, i software che fanno il cosiddetto mining.

LE NUOVE LINEE GUIDA

Secondo le nuove linee guida del colosso di Mountain View dedicate agli sviluppatori, la presenza di questo genere di app sul negozio virtuale della compagnia è ora negata. “Sono vietate le app che consentono il mining di criptovaluta sui dispositivi. Sono consentite le app che gestiscono da remoto il mining di criptovaluta”, si evidenzia nel centro norme per i developer.

CHE COSA È IL MINING

Il mining, spiega Coin Telegraph, “è un processo che permette di aggiungere ulteriori fascicoli al registro pubblico conosciuto con il nome di blockchain. La blockchain assicura che ogni transazione possa essere confermata e che ogni utente nella rete possa accedere in qualsiasi momento al libro contabile. Svolge inoltre il compito di distinguere le transazioni legittime da quelle illecite, impedendo che le medesime unità di bitcoin vengano utilizzate più volte dallo stesso utente. […] Sostanzialmente, i miner contribuiscono alla comunità della criptovaluta confermando ogni transazione e assicurando la loro legittimità. Competono costantemente l’uno con l’altro utilizzando dei programmi progettati appositamente per il mining”.

LO SCENARIO

Il mining, ricorda la Bbc, è dunque intrinseco nel funzionamento della maggior parte delle criptovalute, poiché è il modo in cui i sistemi informatici distribuiti tengono traccia di chi ha speso o trasferito moneta.
Il mining di valute virtuali ha vissuto una vera e propria esplosione negli ultimi anni, spinto soprattutto dai rapidi aumenti delle valutazioni di monete nuove o presenti già da tempo. Il processo di estrazione, rilevano gli esperti, richiede però spesso enormi quantità di potenza di elaborazione se deve essere fatto rapidamente.
Alcuni gruppi hanno realizzato vaste “miniere” di criptovalute, raggruppando centinaia di computer sotto lo stesso tetto per creare le valute digitali il più rapidamente possibile.

LE RAGIONI DELLA SCELTA

Quando l’estrazione viene eseguita “sul dispositivo”, c’è invece il rischio che lo smartphone si surriscaldi a causa di un’elaborazione intensa. Il mining può anche esaurire rapidamente le batterie.
Inoltre, alcuni pirati informatici si sono spostati su questo business, con importanti conseguenze per la sicurezza degli utenti. Diversi siti web poco protetti hanno inserito il codice di mining su di essi per utilizzare i computer degli ignari visitatori per generare denaro.
Da qui la scelta di limitare l’uso di app che potrebbero rendere peggiore o del tutto negativa l’esperienza di chi utilizza lo store di Google.

SULLE ORME DI APPLE

Il gigante tech fondato da Larry Page e Sergey Brin, come detto, non il primo ad aver applicato queste modifiche. Un cambiamento analogo è stata introdotta il mese scorso da Apple, che ha anch’essa fermato sul suo App Store i programmi per coniare bitcoin e altre monete virtuali su computer Mac e dispositivi mobili (i sistema operativi mobili Android di Google, e il suo principale competitor, iOS di iPhone, coprono oggi, messi assieme, il 99% del mercato di riferimento).
Le sole applicazioni di mining accettate, secondo le nuove regole della compagnia di Cupertino, sono quelle che svolgono questa funzione al di fuori dei dispositivi, per esempio nel cloud. Le norme non vietano, inoltre, la presenza di software che facciano da ‘portafoglio elettronico’ di criptovalute, a condizione che siano riconducibili a sviluppatori iscritti come organizzazioni.

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