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Altro che cooperazione. I cyber attacchi russi alle midterm sono già iniziati

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L’intelligence e il mondo della sicurezza americani non avevano mai creduto alle parole con cui, a margine del bilaterale di Helsinki, Vladimir Putin aveva annunciato di voler offrire la propria collaborazione per venire a capo delle presunte interferenze attribuite a Mosca durante le presidenziali americane del 2016. Donald Trump l’aveva invece definita “una offerta incredibile”, prima di essere costretto a ritrattare a seguito di una vera e propria sollevazione in patria (anche il Senato ha votato all’unanimità una risoluzione non vincolante per dire no alla proposta). E ora, a fronte di allarmanti notizie, inizia ad essere ancora più chiaro il perché l’intero establishment Usa si fosse messo di traverso rispetto a questa ipotesi.

MIDTERM NEL MIRINO

​Uno dei colossi del tech, Microsoft, ha rivelato nelle scorse ore di aver identificato e aiutato a contrastare attacchi informatici rivolti contro tre candidati al Congresso degli Stati Uniti, in vista delle elezioni di medio termine in calendario il prossimo novembre.
Non sono stati resi noti i nomi o il partito dei candidati presi di mira, ma si tratterebbe, ha spiegato il vice presidente per la sicurezza della compagnia, Tom Burt, intervenuto all’Aspen Security Forum, di attacchi di phishing condotti attraverso falsi domini della società di Redmond.
Lavorando a stretto contatto con le autorità governative, gli esperti di Microsoft sarebbero riusciti a bloccare i domini coinvolti e a fermare i messaggi malevoli, che simulavano, in modo estremamente attendibili, comunicazioni ufficiali provenienti da mittenti ben conosciuti. Queste email, però, celavano al loro interno – in link o allegati compromessi – pericolosi malware in grado di acquisire ogni genere di informazione sui soggetti colpiti.

LE ANALOGIE CON L’ATTACCO AI DEM

Tale modalità di azione non è sconosciuta alle forze di law enforcement americane. Lo stesso metodo, infatti, era stato adottato per bucare il Democratic National Committee durante le presidenziali del 2016. L’offensiva cyber, che venne collegata a Mosca, ha portato nel tempo a una lunga serie di conseguenze e all’inchiesta condotta oggi dal procuratore generale Robert Mueller, attraverso la quale sono stati incriminati finora 13 cittadini russi.

I TIMORI DI INTELLIGENCE E FBI

In questo scenario in costante evoluzione, il caso che ha coinvolto i tre candidati del Congresso rappresenta, per gli apparati di sicurezza americani, l’ennesima dimostrazione di non essersi sbagliati malgrado le critiche della Casa Bianca. Domenica scorsa, alla vigilia del vertice tra Trump e Putin, Dan Coats, il potente capo della National Intelligence, l’organismo che coordina le 16 diverse agenzie che compongono l’intelligence community Usa, aveva lanciato un allarme definendo i cyber attacchi di Mosca come una minaccia da “allarme rosso”, una situazione paragonata ai mesi precedenti all’11 settembre. E anche il nuovo direttore dell’Fbi, Christopher Wray, nominato di recente proprio dal presidente americano, aveva manifestato forti dubbi sulla proposta del Cremlino, poi respinta dallo stesso Trump. La guardia, dunque, continuerà a restare alta ancora per molto.​



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