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L’educazione scolastica palestinese può favorire le prospettive di pace?

In ogni conflitto l’educazione delle nuove generazioni a una prospettiva di pace e apertura all’altro hanno un ruolo fondamentale per un futuro di convivenza. Le differenti interpretazioni della storia, che si adattano allo spirito nazionale di una certa comunità, possono essere superate con la conoscenza reciproca o con la riscrittura di una storia comune – come sta avvenendo in Europa. Altro elemento di pericolo è il possibile indottrinamento che nutre le giovani generazioni di odio per preparare futuri combattenti. Il Centro di Ricerca sul Terrorismo e l’Intelligence Meir Amit ha pubblicato uno studio sui libri scolastici in uso nelle scuole dell’Autorità Palestinese e anche dell’Unrwa. Lo studio è un aggiornamento di studi già compiuti, svolto su 118 libri pubblicati nel 2017 che hanno sostituito i materiali didattici precedenti.

Secondo lo studio, vi sarebbe una generale radicalizzazione nell’ideologia anti-israeliana nei materiali di insegnamento che delegittimano e demonizzano Israele e il popolo ebraico, nutrendo le menti degli studenti alla lotta armata esaltando il martirio e cancellando ogni riferimento alla storia ebraica. Per esempio, non sarebbero quasi più presenti le parole “Israele” o “israeliano” (se non nell’espressione “crimini israeliani”), sostituite da “occupazione sionista” e “sionista occupante”. Rispetto a precedenti testi didattici, sarebbero state eliminate tutte le parti che si riferivano alla storia ebraica antica, mentre i testi di storia moderna non fanno riferimento all’esistenza di Israele.

Nelle cartine dei libri di geografia non compare Israele, né alcuna città israeliana. La Palestina è definita come territorio posizionato in quello che viene definito “Levante” con Giordania, Siria e Libano, e appartenente al più ampio mondo arabo e islamico, in cui peraltro viene inclusa l’Eritrea. La versione della storia insegnata indicherebbe l’esistenza della Palestina da tempi immemorabili, e poi occupata da quelle che sono definite “bande sioniste”. In questo contesto un esercizio di geografia riporta una cartina di Israele, Gaza e Cisgiordania con le sole città arabe e la consegna di “distinguere le città arabe che i sionisti hanno occupato nel 1948 e quelle che hanno occupato nel 1967”. La storia del periodo mandatario (1918-1948) cancella ogni riferimento alle strutture istituzionali, culturali, educative e commerciali ebraiche di modo da far credere che l’unica presenza allora fosse araba, mentre l’avvento improvviso dei “sionisti” sarebbe un’invasione che ha portato distruzione e morte.

La riscrittura della storia passa anche per l’insegnamento di cultura islamica, con lo scopo di negare ogni attaccamento ebraico alla città di Gerusalemme e ricordando solo il valore islamico e in parte cristiano. Così, il Muro Occidentale (ciò che resta dell’antico Tempio di Salomone e luogo sacro per l’ebraismo) è definito solo con la dizione della tradizione musulmana, cioè Muro di al-Buraq, sottolineando come solo i musulmani abbiano diritti. Al-Buraq è l’animale alato che secondo la narrazione coranica ha portato Maometto dalla “moschea vicina” alla “moschea più lontana” (al-Aqsa), identificata poi con la moschea costruita sulla Spianata del Tempio. È la stessa definizione usata nelle due contestate risoluzioni Unesco su Gerusalemme che non riportano la dizione ebraica, negandone quindi il valore.

L’educazione islamica sarebbe usata anche per dipingere in maniera negativa la figura dell’ebreo e del sionista, sempre raffigurati come un collettivo portatore di divisione, morte e distruzione e mai come singoli esseri umani. Secondo quanto riporta lo studio, nei libri di educazione islamica sono riportati solo i passi delle scritture islamiche che parlano dello scontro tra il Profeta e le tribù ebraiche ad al-Medina, dando una raffigurazione negativa del popolo ebraico. Nei libri di lingua araba c’è almeno una poesia in cui gli ebrei sono definiti “aiutanti di Satana”, mentre nei libri di storia i sionisti sono “bande” genocidarie che hanno ucciso, espulso e distrutto le comunità palestinesi. Nelle pagine di storia contemporanea si descrive la prima intifada come una rivolta di giovani contro i soldati “che colpiscono i bambini per paura dei loro sogni”. Infine, tra gli esercizi di composizione vi è la seguente consegna: “Scrivete un articolo di giornale sui crimini israeliani contro i bambini palestinesi… concentrandosi sui seguenti argomenti: la morte dei bambini come martiri, la distruzione delle loro case e l’espulsione delle loro famiglie, l’incarcerazione dei bambini, l’impedimento allo studio, l’impedimento al gioco”.

Tra le altre accuse a Israele vi è anche l’introduzione dei cinghiali per distruggere i raccolti dei palestinesi e gli scavi sotto la Moschea di al-Aqsa per farla crollare. Quest’accusa è presente sia nella stampa sia nelle reti sociali e origina in una serie di accuse contro le comunità ebraiche nella Palestina Mandataria degli anni ’20 del XX secolo. Da allora il richiamo “al-Aqsa è in pericolo”, con le conseguenti accuse contro le comunità ebraiche e ora contro Israele di voler distruggere la sacra moschea, è stato fondamentale nelle varie ondate di violenza e terrorismo – così i massacri del 1929 a Hebron e Safed, la seconda intifada (conosciuta in arabo appunto come intifada di al-Aqsa) e le ondate degli accoltellatori dal 2015.

La difesa di al-Aqsa e la liberazione della Palestina (intesa come territorio che comprende oggi Israele, Cisgiordania e Gaza) sono alla base di un’educazione che forma le menti alla necessità della lotta armata e della rivolta contro il nemico sionista. Testi di educazione civica e lingua araba contengono canti che inneggiano alla lotta politica contro Israele, nella convinzione che tale lotta sia preordinata alla liberazione di tutta la Palestina, compresa l’attuale Israele. L’unico passaggio del libro di educazione civica che parla di pace e sviluppo riguarda in generale i conflitti, quando invece si parla del conflitto con Israele l’accento è posto sul diritto al ritorno, sulla liberazione della Palestina (intesa come tutto il territorio che oggi comprende anche Israele). Nel libro di educazione islamica, l’accento si pone invece sulla lotta a sfondo religioso, inculcando il senso di sacrificio individuale per la liberazione di al-Aqsa, con un uso diffuso di principi islamici come jihad, martirio esaltazione dei martiri con esercizio di compilazione liste dei loro nomi.

L’esaltazione degli atti di terrorismo, secondo quanto riporta lo studio, comprenderebbe anche le azioni di dirottamento degli aerei da parte dei terroristi palestinesi negli anni ’70 e ’80 così come le azioni terroristiche contro i civili israeliani, raccontate nei libri di storia e lingua araba, con canti e poesie che formano il canone didattico delle scuole palestinesi.

Altro elemento di interesse sarebbe l’indottrinamento onnicomprensivo, cioè non limitato alle materie come storia, educazione civica ed educazione islamica. L’indottrinamento avverrebbe anche in materie come chimica, fisica e biologia. Per esempio, in una lezione sugli elementi naturali e la loro composizione chimica si parla di acqua e sale come fondamentali elementi per il sostentamento dei prigionieri politici palestinesi sottoposti a torture dai sionisti. Un esercizio di matematica descrive il numero di “martiri” di vari periodi di guerra e richiede all’alunno di fare un’addizione del numero totale di “martiri” palestinesi morti per la patria. Ancora, un esercizio di geometria parla di una palma spezzata da un crimine israeliano, e si deve calcolare l’ampiezza dell’angolo che il tronco spezzato forma con la parte di tronco rimasta salda sul terreno.

Scrive Reuven Erlikh nell’introduzione allo studio, che traspare da molte ricerche come l’ostilità verso Israele sia parte “dell’ethos sociale palestinese”, espresso anche nel sistema scolastico cui sono state educate generazioni di palestinesi, formando una cultura dell’odio contro Israele e il popolo ebraico che è alla base dell’incitamento alla violenza e al terrorismo.



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