Gianluigi Vittorio Castelli e Gianfranco Battisti, rispettivamente neo presidente e ceo di Ferrovie, devono sapere una cosa. I prossimi anni non saranno facili per il gruppo di Piazza della Croce Rossa, guidato fino a una settimana fa da Renato Mazzoncini. L’azzeramento non privo di traumi dell’intero cda ad opera del ministro dei Trasporti, Danilo Toninelli, lascia aperta più di una partita per Ferrovie.
Mazzoncini, manager imposto al capo delle Fs dall’ex premier Matteo Renzi e anche per questo da sempre indigesto al governo gialloverde, è firmatario (oltre a un bilancio 2017 da mezzo miliardo di utile, record storico per le Fs e 10 miliardi di ricavi) dell’ambizioso piano industriale 2017-2026 da 94 miliardi di investimenti che nella logica del vecchio management avrebbe dovuto traghettare il gruppo in un contesto ancora più globale di quello odierno. E forse così sarà.
Tutto questo però è subordinato al fatto che all’orizzonte delle Ferrovie ci sono almeno quattro o cinque sfide strategiche. Ma forse, prima, vale la pena ricordare quello che non si farà. La fusione con Anas per la creazione del polo infrastrutture, stroncata dal governo legastellato anche per dare un’avvisaglia di cambio registro a Mazzoncini. E naturalmente l’Ipo, messa in stand by se non addirittura in soffitta dallo stesso ex manager di Fs in favore di una più sicura emissione obbligazionaria.
Detto questo, il primo scoglio è la corsa con Italo, il competitor privato fresco di passaggio di mano al fondo Usa Gip. Gli americani possono contare su una potenza di fuoco di 40 miliardi di dollari di asset gestiti e hanno promesso per Ntv investimenti senza alcuna esitazione. Questo significa che nei prossimi mesi sulle tratte dell’Alta Velocità ci sarà da lottare, anzi da correre.
Seconda sfida, il tasporto su gomma. Ferrovie, attraverso la controllata Busitalia, ha inserito l’acquisto di 3mila nuovi bus. Con il chiaro intento di subentrare al trasporto locale di molti capoluoghi, in primis Roma, dove il gruppo ha già fatto capire di voler concorrere con Atac nel 2019, quando le regole Ue imporranno l’apertura del servizio. Ma sulla gomma c’è anche un’altra minaccia, quella di Flixbus, la startup tedesca da 10 milioni di passeggeri famosa per i bus verdi e che ha già annunciato lo sbarco sul ferro, ma non prima di aver aumentato sensibilmente la flotta su gomma, compresa quella a motore elettrico.
Non finisce qui. C’è un’altra importante sfida quella del trasporto regionale su rotaia. Qui le questioni sono essenzialmente due. Punto primo, Trenord, la partecipata di Trenitalia che si occupa del trasporto locale al nord. Toninelli ha già chiesto al nuovo ad di provvedere ai disagi che puntualmente colpiscono i pendolari.
Su scala nazionale invece, ed è il secondo punto, c’è da irrobustire la flotta della breve percorrenza. Ferrovie ha preventivato l’arrivo di 450 nuovi treni, 135 dei quali verranno dall’accordo con la giapponese Hitachi. L’accordo commerciale prevede un minimo garantito di 70 convogli, estendibili fino a 135, per un importo a base d’asta di 1,6 miliardi di euro. I nuovi treni entreranno in esercizio a partire dal 2021. Su tutto poi, c’è la madre di tutte le partite, la Tav. Non è ancora chiaro cosa succederà e forse per il momento è meglio attendere.