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Il Godot del cambiamento è una illusione. Per non deludere servono i partiti

I contenitori politici nati dopo gli anni 1993/94 cercano di rilanciarsi per affrontare la competizione coi nuovi soggetti elettorali che nell’attuale contingenza sono al potere in Italia. Ci riusciranno? È difficile rispondere a un quesito così complicato. Resta la convinzione che i cosiddetti partiti presenti sulla scena altro non sono che dei circoli elettorali, che servono a rastrellare voti nelle varie competizioni, dalle Europee a quelle delle municipalità, per legittimare il potere conquistato. Non sembri una novità, è solo un vecchio costume già noto negli ultimi decenni di fine XIX secolo, quando attraverso l’azione di circoli, associazioni, club ci si adoperava per raccogliere voti col fine di far nascere amministrazioni locali amiche, sorrette da notabili locali che poi facevano eleggere parlamentari di propria espressione a Montecitorio. Era la democrazia borghese!

Il dibattito che si svolgeva al loro interno era occasionale, episodico, ripetitivo, privo di reali prospettive di governo. Oggi capita più o meno la stessa cosa: non esiste una visione di Paese, manca una progettualità complessiva di governo. Sì, si discute del problema x o y o z, ma senza avere uno sguardo di prospettiva sul lungo periodo, per migliorare la condizione socio-economica degli italiani. Interessa la contingenza, l’immediato presente. Ci si affanna per recuperare qualche euro, per portare a compimento impossibili promesse elettorali. È questa la realtà politica attuale. Il berlusconismo o il prodismo almeno si preoccupavano di guardare oltre l’oggi o il domani. I contenitori elettorali attuali stanno ammorbando, cambiando semplicemente il lessico, gli italiani, senza affrontare mai la questione di fondo: cosa si deve fare perché l’Italia esca dalle secche? Il vero problema della governabilità. Quali strade seguire per ritornare a crescere, a fare sviluppo per ottenere benessere per tutti. Questa è la stella polare a cui riferirsi per realizzare buongoverno. Basta con le orazioni quotidiane o peggio con la vendita di parole a basso costo per illudere gli elettori, forse già stanchi delle inutili chiacchiere di capi e gregari di contenitori poco politici.

Di Maio, che con i suoi continui e incomprensibili sorrisetti irride a Berlusconi o ai pensionati d’oro o ai percettori di vitalizi, fingendosi più furbo del diavolo e molto ferrato nella conoscenza della Costituzione inquieta parecchio. Si sa della sua scarsa conoscenza di temi economici e giuridici. L’altro, Salvini, che con tono stentoreo, un giorno sì e l’altro pure, pontifica su tutto e tutti, mostrando i segni di un pathos che ben qualifica l’esponente politico padano come l’ultimo salvatore della patria, cui affidare le proprie sorti per guadagnarsi un posto sull’ ”arca”.

Teatro a buon prezzo. Anche la richiesta di incontro con il Presidente Mattarella è stata più una mossa da spettacolo per i suoi spettatori, che un incontro finalizzato a migliorare i rapporti tra le istituzioni e nelle istituzioni. Non a caso dopo poche ore è scoppiata una polemica incandescente sull’accoglienza degli immigrati tra il ministro degli Interni e quello delle Infrastrutture Toninelli. Ogni giorno che passa si capisce sempre meglio cosa voglia dire governo del cambiamento. Basta allora con questo ritornello, si ritorni per favore alla normalità. Anche ai vecchi partiti. La gente almeno saprà che non dovrà aspettare alcun Godot per il cambiamento.

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