Una delle due forze politiche che sono uscite sconfitte dalle elezioni politiche del 4 marzo è sicuramente Forza Italia. Si è trattato di una flessione di consensi notevole e superiore anche ai più pessimisti sondaggi della vigilia: un calo che indubbiamente ha comportato non soltanto l’impossibilità numerica di formare una maggioranza di Centrodestra, ma anche di rendere praticamente pensabile un governo di larghe intese FI-Pd. In modo sicuro molti voti dei forzisti sono stati presi dal M5S nel meridione, ma anche, specialmente al Nord, si è palesato un travaso di suffragi altrettanto potente all’interno del Centrodestra, ossia da FI verso la Lega.
Appare quindi urgente e sensato il proposito di Silvio Berlusconi di apportare delle riforme interne al suo partito, in primis creando un organigramma più collegiale, dipartimentale e locale, affidando al presidente dell’Europarlamento Antonio Tajani il ruolo di vicepresidente del partito.
Non si tratta, in questo caso, dell’indicazione di un delfino, come tante volte Berlusconi ha fatto in passato nei riguardi, ad esempio, di Gianfranco Fini e di Angelino Alfano, tutti tentativi finiti malissimo, perché Tajani ha già un profilo consolidato, dotato cioè di una sua indipendenza, e non ha bisogno di salire uno scranno che già possiede al massimo livello. Inoltre, ci sia permesso dire, le sue capacità politiche sono maggiori dei precedenti aspiranti, avendo alle spalle una carriera molto più solida e oggettivamente di maggiore qualità, anche sul piano delle acquisite esperienze internazionali.
Ciò nonostante, di là della positività dunque della scelta, restano ancora irrisolti alcuni punti fondamentali nella linea politica futura di FI. Berlusconi, nella lettera al Corsera, ha indicato di voler perseguire degli obiettivi differenti dalla sinistra, designando in modo netto soprattutto il M5S come antagonista principale da battere. I motivi sono quelli già illustrati in campagna elettorale: i Grillini sono dilettanti, settari e ostili a FI, e la logica dell’“uno vale uno” impedisce loro di selezionare a dovere la classe dirigente.
Analogamente a quanto anche Stefano Parisi ed Energie per l’Italia sostengono da tempo, il contributo di Fi è offrire più razionalità alla politica, dando una prospettiva moderata e anti-populista al Centrodestra.
Che tutto questo significhi qualcosa di valido è fuori di dubbio. La maggioranza giallo-verde è espressione, d’altronde, di una necessità parlamentare, soltanto temporaneamente divenuta una volontà politica convergente. Dopodiché, e questo credo sia il punto decisivo, bisognerà spiegare bene perché un elettore di Centrodestra dovrebbe tornare a votare FI.
La robustezza della Lega, di là di come la si pensi in merito, è la nettezza della posizione politica, il decisionismo nel realizzare gli obiettivi e lo straordinario attivismo che Matteo Salvini mette in atto tutti i giorni.
Se, giustamente, FI non intende inseguire il Carroccio, ma vuole proporre una versione politica moderata della stessa politica di coalizione, vale a dire un conservatorismo non sovranista, più liberale e meno antieuropeo, non potrà fare a meno di avere un leader impegnato a tutto campo e su tutto il territorio per conquistare la scena a Salvini: cosa non proprio semplicissima, onestamente. Un’attività massacrante di questo genere, oltre al dinamismo che certamente Tajani possiede, implica un impegno a tempo pieno, impraticabile con un ruolo tanto importante com’è quello di presiedere il PE.
Vi è poi un secondo dubbio assillante sul destino di FI: in un periodo storico in cui piacciono, nolenti o volenti, idee forti e chiare, avere un programma stemperato proprio sui temi che più identificano le destre nel mondo (sovranismo, chiusura sull’accoglienza, ordine pubblico, anti Europa), non rischia di rendere indistinguibile, agli occhi degli elettori moderati, questo progetto da quello del PD?
La cosa cruciale da sapere, in buona sostanza, è FI da che parte voglia stare. È molto diverso, infatti, riorganizzare il partito pensando di dover comunque stare con Salvini e la Lega, oppure strizzare l’occhio anche ad altre ipotesi, come il Fronte Repubblicano immaginato da Carlo Calenda e da altri centristi, renziani o no che siano.
Ad avviso di chi scrive, Tajani può senz’altro rappresentare un punto di partenza notevole per creare l’avvenire di FI, anche se non è ancora chiaro quanto la sua direzione sarà quella di un partito che vuole stare da protagonista nel Centrodestra oppure no. A leggere certe dichiarazioni di Renato Brunetta si direbbe di no, mentre a sentire Giovanni Toti il partito unico con la Lega è quasi dietro l’angolo.
È ovvio che il lavoro di Tajani in nessun caso sarà facile. È doveroso, malgrado tutto, tenere presente fin d’ora che per stimolare e convincere un elettorato deluso dal Nazareno e dalle tante promesse irrealizzate, FI dovrà puntare a consolidare senza infingimenti la coalizione in cui sta e che ha fatto nascere nel 1994, evitando strani connubi centristi che troppe volte sono stati praticati, essendo per essenza incompatibile con il Centrodestra fare alleanze con il Centrosinistra, sia pure in nome di quella moderazione che è indispensabile avere invece per distinguere la propria identità da quella più radicale della Lega.