L’Italia, i suoi primati ma anche i suoi buchi neri. E due partite a dir poco strategiche, come Open Fiber e Ilva. C’è stato tutto questo nell’incontro di questa mattina tra il vicepresidente della Bei, la Banca europea per gli investimenti, Dario Scannapieco, con la stampa. L’occasione era la chiusura della prima fase del Piano Juncker, l’intervento su larga scala concepito nel 2015 dall’attuale presidente della commissione europea Jean Claude, per rilanciare gli investimenti nel Vecchio Continente.
Partendo proprio dalle questioni più attuali, due sono le novità emerse nel corso dell’incontro avvenuto presso la sede italiana della Bei. La prima questione riguarda la banda larga, che risponde al nome di Open Fiber. Scannapieco ha annunciato per la prossima settimana la sigla dell’accordo per il finanziamento da 350 milioni di euro concesso a Open Fiber, la società per la banda larga partecipata al 50% da Cdp.
La scorsa settimana il board Bei aveva approvato la partecipazione che si inserisce nel quadro del ricerca da parte di Open Fiber delle risorse necessarie per il suo piano per l’Italia. Dunque, l’Europa inizia a spingere sull’acceleratore delle tlc in Italia, nell’attesa che il ministro dello Sviluppo Economico, Luigi Di Maio incontri il ceo Tim, Amos Genish, per valutare le modalità dello spin off sulla rete per la relativa societarizzazione.
Seconda questione, l’Ilva. Formiche.net ha chiesto a Scannapieco se fosse possibile immaginare di nuovo un coinvolgimento della Bei nel rilancio dell’acciaieria, appesa alla trattativa tra Mittal e il governo con l’opzione dell’annullamento della gara per la cessione dello stabilimento. Sollecitato sul possibile interessamento per Taranto, Scannapieco non ha escluso a priori un coinvolgimento dell’Europa, chiarendo tuttavia come al momento non vi siano le condizioni.
“Appena c’è chiarezza e un piano industriale credibile e redditizio, se ci verrà richiesto, lo analizzeremo come tutti gli altri, ma oggi è difficilmente bancabile perché ci sono incertezze sul futuro della proprietà”. Ragionamento che non fa una piega visto che la Bei, per statuto, è vincolata a investire laddove ci sia una situazione finanziaria quanto meno gestibile.
Fin qui le partite in casa Bei. Poi ci sono i numeri, quelli del Piano Juncker. Ebbene, la Bei al 15 luglio 2018 ha pienamente superato il target di 315 miliardi di investimenti mobilizzati tramite Efsi, il braccio operativo della banca, con 898 operazioni approvate 700 mila pmi sostenute e 750 mila posti di lavoro creati a livello europeo. I finanziamenti mobilitati sono 335 miliardi e hanno dato una spinta al Pil dello 0,6%. L’Italia, per quanto riguarda i finanziamenti approvati dal Efsi, è primatista.
A luglio lo Stivale con 8,3 miliardi di finanziamenti Efsi approvati e 46,4 miliardi attivati (a partire dal 2015) risulta il secondo Paese beneficiario in Europa, ma il primo in termini di pmi sostenute, 213 mila. Nel complesso in tre anni di Piano Juncker, la Bei ha firmato in Italia operazioni per 38,6 miliardi (Efsi rappresenta il 20%). Da inizio anno al 15 luglio si è raggiunta la cifra di 4,7 miliardi, difficilmente si toccherà il picco dei 12,3 miliardi a fine anno come nel 2016.
Eppure gli investimenti in infrastrutture si sono contratti. Perché? Colpa della Pa e delle sue scarse competenze tecniche, che hanno reso le amministrazioni incapaci di mettere a reddito i fondi europei. Come dire, l’Europa ha fatto la sua parte, e l’Italia?