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Perché, su immigrazioni e navi militari, Salvini sbaglia. Le missioni sono utili

Dopo quelle delle ong, ora il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, vuole impedire l’attracco in Italia alle navi delle missioni militari internazionali sostenendo che i governi degli ultimi anni hanno sottoscritto accordi in base ai quali tutti i migranti salvati in mare debbano essere portati in Italia. Ma è proprio così? Lo è stato in passato solo per le navi impegnate nella missione Triton, ora non lo è più e soprattutto fare di tutta un’erba un fascio contribuisce solo ad aumentare la confusione, a trasmettere un messaggio sbagliato agli italiani che non conoscono le regole in mare e in sostanza a ipotizzare di poter risolvere il fenomeno immigrazione impedendo gli attracchi. Vediamo in dettaglio.

L’OPERAZIONE SOPHIA

L’attacco di Salvini, che intende porre la questione al vertice dei ministri della Giustizia e degli Interni previsto a Innsbruck il 12 luglio, è partito dalla notizia del salvataggio di migranti in acque internazionali e in area Sar maltese da parte della nave irlandese Samuel Beckett impegnata nella missione europea Eunavfor Med (Operazione Sophia). Il Viminale l’ha autorizzata a sbarcare a Messina i 106 migranti salvati dopo che il coordinamento è passato da Malta a Roma. Sophia ha ampliato da poco il suo compito dopo che il Consiglio europeo del 14 maggio ha deciso di creare al suo interno una “crime information cell”, una sezione per acquisire informazioni da condividere con Frontex ed Europol. La sezione è stata attivata il 5 luglio: cinque specialisti delle tre strutture (Eunavfor Med, Frontex ed Europol) sono a bordo di Nave San Giusto, sede della Task force. La missione è comandata dall’ammiraglio di divisione Enrico Credendino, svolge un’attività di controllo di traffici di ogni tipo, sta intensificando quelli sul traffico di petrolio e vorrebbe che il suo mandato fosse ampliato per consentire di salire a bordo di mercantili sospetti. Non è una missione di ricerca e soccorso, ma come qualunque altra nave quelle impegnate in Sophia sono chiamate a soccorrere chi rischia di morire in mare: si può impedire l’ingresso in porto a una nave militare se viene chiamata a soccorrere chi sta rischiando di affogare? Inoltre, il prestigio dell’Italia che ne detiene il comando dovrebbe far riflettere.

TONINELLI SBAGLIA

D’accordo con Salvini è il ministro delle Infrastrutture e Trasporti, Danilo Toninelli, secondo il quale lo sbarco a Messina dei 106 salvati da nave Samuel Beckett “lo impone folle accordo europeo Sophia con cui Renzi ha svenduto interessi Italia. Rispettiamo regola, ma ora va cambiata”. Anche qui occorre essere chiari: non c’è nessun obbligo, non è colpa di Matteo Renzi o di nessun altro, le navi impegnate nella missione Sophia hanno compiti diversi e, se vengono chiamate a soccorrere, seguono le indicazioni del centro di coordinamento competente.

DIFFERENZE TRA TRITON E THEMIS

Gli accordi che costringerebbero a sbarcare tutti i migranti solo in Italia non esistono più e comunque vanno spiegati ancora una volta. Questo obbligo era previsto solo nel piano operativo della missione Triton dell’agenzia Frontex, varata dopo la missione Mare nostrum solo italiana, riguardava esclusivamente le navi militari in essa impegnate, certo non qualunque altra imbarcazione fosse chiamata a soccorrere un barcone. Ecco perché, quando all’epoca si attribuiva a Triton la responsabilità di qualunque sbarco (che dipendeva soprattutto dal porto vicino e sicuro che era quasi sempre italiano), nel mondo politico c’era anche un po’ di ipocrisia. La missione Themis che l’ha sostituita, come spiegò a suo tempo il direttore di Frontex, Fabrice Leggeri, ha l’obbligo di sbarco in un Paese dell’Ue e non specificatamente in Italia, ma anche in questo caso tutto dipende dal centro di coordinamento dei soccorsi e dalla vicinanza del porto sicuro. Va aggiunto che Themis, come precedentemente Triton, è innanzitutto una missione di polizia per il controllo delle frontiere e ha allargato la competenza anche alle aree di fronte a Tunisia e Algeria e a Turchia e Grecia, ma fornisce anche assistenza in materia di ricerca e soccorso.

LE ALTRE MISSIONI

Se Salvini confermerà a Innsbruck le parole pronunciate a caldo, si riferisce a tutte le navi di ogni missione internazionale nel Mediterraneo. La Nato, per esempio, ha Sea Guardian con compiti di pattugliamento e di sorveglianza aero-marittima (erede dell’Active Endeavour varata dopo l’11 settembre), in sinergia con Sophia e in coordinamento con la Guardia costiera e con l’Agenzia Frontex. Inoltre, la Marina e l’Aeronautica italiane dal 12 marzo 2015, dopo i primi attentati in Europa, sono impegnate nell’operazione Mare sicuro a tutela degli interessi nazionali come le piattaforme petrolifere. Dall’agosto scorso Mare sicuro può intervenire anche nelle acque libiche per contrastare traffici illeciti a sostegno della Guardia costiera e della Marina libiche se le autorità di Tripoli ne chiedono l’aiuto. Forse questa missione sarebbe esclusa dal “veto” del ministro dell’Interno essendo appunto una missione italiana.

Dunque, le missioni militari nel Mediterraneo svolgono compiti di controllo e lasciar passare il messaggio che abbiano obblighi inesistenti rischia soltanto di gettare benzina sul fuoco delle polemiche.

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