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Leonardo e la difesa italiana. Perché Palazzo Chigi può contare per l’export

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Mentre la Brexit si avvicina a un punto di svolta e la difesa europea procede spedita, pare opportuno che il Paese metta a fuoco una posizione chiara, consapevole rispetto agli accadimenti, ma anche portatore di potenziali iniziative che può intraprendere per avere un maggior ruolo nel contesto continentale. Ciò riguarda in particolar modo l’industria della difesa, che vive in Europa un momento di profondo ripensamento.

In tal senso, appare deludente il fatto che ancora oggi si chieda alla presidenza del Consiglio di essere il luogo in cui dibattere, in ambito interministeriale, i problemi del comparto di settore. Ricordo che è scorso molto sangue (metaforicamente) quando nel 2001 – era allora ministro della Difesa l’attuale Presidente della Repubblica – si riuscì a istituire a palazzo Chigi un meccanismo interministeriale, affidato alla guida di un sottosegretario e incardinato nell’ufficio del consigliere militare, per le attività di esportazione di materiali della difesa. Quel consesso, il gruppo di lavoro interministeriale per il coordinamento delle esportazioni dei materiali per la difesa, esiste tutt’ora e ha trovato piena legittimazione in un decreto della presidenza del Consiglio del 2010. Eppure, non lavora.

Perciò, si fatica a comprendere come mai ancora oggi ci si rivolga, in via concettuale e di principio, al un nuovo ruolo di palazzo Chigi mentre un tavolo c’è e potrebbe essere rilanciato. Trovo inoltre ancora più ingiusto e bizzarro che si dia la colpa di ciò al mondo della politica o allo stesso governo, quando i critici sono tutti servitori dello Stato, chiamati piuttosto a spiegare perché, in 17 anni, non hanno fatto niente per far lavorare il Gruppo. È bene che, prima o poi, si faccia Stato, evitando di dare colpe alla politica che, almeno in questo caso, risulta assolutamente incolpevole. In tal senso, credo che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti, anche in virtù della sensibilità personale nei confronti del mondo della difesa, e anziché diventare destinatario di inesistenti colpe in quanto rappresentante politico e istituzionale, sarebbe ben lieto di essere reso destinatario di un lavoro interministeriale che, proprio i politici, i rappresentanti delle istituzioni e dell’industria dovrebbero mettere a punto chiedendo lui soltanto l’avallo politico.

D’altra parte, occorre riconoscere che una delle possibili cause per la sonnolenza del tavolo di coordinamento interministeriale è la mobilità che contraddistingue i suoi responsabili, ossia i consiglieri militari, nonché la loro estrazione del tutto disomogenea per quanto riguarda la familiarità all’industria della difesa. A questo andrebbe posto riparo, individuando un quadro permanente solido e full aware dei problemi del comparto industriale di settore che possa orientare le decisioni, eseguire il lavoro preparatorio e dare assistenza tecnica a chi ne è formalmente responsabile.

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