Dal 2003, l’Iraq è progressivamente diventato una roccaforte iraniana. Il premier Nouri al-Maliki, rappresentante della popolazione sciita discriminata da Saddam Hussein, ha aiutato Teheran a consolidare l’influenza su Baghdad. Con la scusa della lotta all’organizzazione “Stato Islamico”, la presenza militare iraniana in Iraq si è fatta più massiccia, con truppe delle Brigate al-Qods, guidate da Qasem Soleimani, (in foto), e di Hezbollah.
Il progetto di Soleimani è rendere l’Iraq una provincia di Teheran, potendo contare sulla maggioranza sciita, largamente ostile al mondo sunnita, sul dispiegamento di truppe il cui scopo sarebbe difendere i pellegrini iraniani in visita ai luoghi santi in Iraq (come Najaf e Karbala). Ma come usa operare l’Iran, l’influenza si è estesa ben oltre, creando gruppi paramilitari affiliati a diversi partiti sciiti. Tra questi anche Asa’ib Ahl al-Haq (la Lega del popolo dell rettitudine), Kata’ib Hezbollah (Falange di Hezbollah) e Kata’ib Sayyid al-Shuhada (Falange Signore dei Martiri). Quando in Iraq erano presenti gli americani le varie organizzazioni combattevano contro le forze di coalizione, in gran parte sotto l’influenza del leader religioso Moqtada al-Sadr.
Lo stesso Sadr, il cui “Esercito del Mahdi” è responsabile di infiniti attacchi terroristici contro soldati della coalizione e civili iracheni, si è espresso contro l’influenza iraniana in una serie di occasioni. Prima del terrore dello Stato Islamico, Sadr aveva criticato in numerose occasioni il premier al-Maliki, accusandolo di corruzione e perseguimento di interessi stranieri. Dopo le visite ai Paesi arabi sunniti, compresa l’Arabia Saudita nel 2017, Sadr è divenuto il primo nemico di Teheran. Ad al-Maliki è succeduto Haider al-Abadi, agli occhi degli iracheni vincitore contro l’organizzazione Stato Islamico e promessa della rinascita economica del Paese. Il suo partito, che promuove l’abolizione del sistema settario, è però arrivato al terzo posto alle ultime elezioni, dopo la gran vittoria della coalizione di Sadr e il sostegno diffuso alla coalizione sciita pro-iraniana (Fatah). Le elezioni sono state tenute a metà maggio e ancora non si è creato un governo. L’economia del Paese è al collasso e gli attacchi terroristici dell’organizzazione Stato Islamico sono ripresi. Dieci giorni fa sono iniziate alcune dimostrazioni sul confine iraniano, contro le truppe delle Brigate al-Qods e Kita’ib Hezbollah. Qualche attacco agli iraniani che attraversano il confine in pellegrinaggio.
I leader religiosi sciiti Moqtada al-Sadr e Ali al-Sistani (di scuole religiose differenti e con diverse visioni sul futuro politico dell’Iraq), condannano la presenza iraniana in Iraq e criticano il governo per aver permesso agli “stranieri” di comportarsi da padroni a scapito del popolo iracheno. È la città di Basra il centro delle proteste. Nel sud del Paese, al confine con Iran e Kuwait, Basra è vicina a una delle zone di estrazione del petrolio – e proprio sulle strade che portano ai siti petroliferi si radunano i manifestanti. Baghdad avrebbe prima sparato sulla folla, che non si è fatta intimidire dalle forze dell’ordine, ripresentandosi per le strade. La chiusura delle reti internet non è servita a bloccare le comunicazioni, causando ancora più rabbia tra i giovani. Altre manifestazioni da venerdì si sono diffuse nelle città vicine. Così l’esercito è stato costretto a mandare le forze speciali, a chiudere il porto, evacuare gli impiegati dei pozzi petroliferi con elicotteri.
La rabbia del popolo è molto semplice: come può un Paese così ricco vivere senza una fornitura stabile di acqua ed elettricità? Il sentore popolare è che i continui disservizi siano in qualche modo legati alla presenza iraniana, tanto che il ministro dell’energia, Qasem Fahdawi ha firmato un nuovo accordo di importazione di energia elettrica con l’Arabia Saudita, il che causa un ulteriore colpo all’economia iraniana. Il premier Abadi era riuscito a negoziare un nuovo accordo con le regioni curde per la spartizione dei proventi dalla vendita delle risorse naturali, promettendo di investire nella ricrescita economica del Paese e infrastrutture nel sud. Le proteste popolari sono per ora puramente economiche, ma sono un campanello d’allarme per Teheran, la cui presa sull’Iraq è in pericolo, e per la stessa Baghdad. Nonostante l’appartenenza allo stesso gruppo religioso (Islam sciita), sulla quale l’Iran conta per influenzare il Paese, la popolazione irachena si sta ribellando alla politica di Teheran, o più correttamente delle Guardie della Rivoluzione. Il leader più quotato, Moqtada al-Sadr ha guadagnato i consensi della popolazione promettendo riforme e parlando di giustizia sociale, come molti leader che promuovono l’Islam politico. Un nuovo scenario in Medio Oriente potrebbe essere un Iraq guidato da lui, o da un suo uomo: così l’Iraq tornerebbe nell’alleanza con l’Arabia Saudita indebolendo l’influenza iraniana nella regione, ma rimarrebbe anti-occidentale.
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