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L’Italia all’ora del cappuccino, quello che a Bruxelles non vedono (o fanno finta di non vedere)

manovra

Mentre tutti discutono ad altissimo livello sui temi economici (come nel caso del dibattito sugli 80mila contratti di lavoro a tempo determinato in dieci anni che verrebbero meno per effetto del decreto “dignità”, quasi fossero stati compagni di banco a Eton di sir John Maynard Keynes) alcune evidenze si manifestano nella loro disarmante semplicità, tali da indurci ad alcune elementari riflessioni.

Scena prima, nella puntata di Agorà di questa mattina. Parla Roberto Sommella, intelligente e garbato sostenitore della causa europea senza se e senza ma. Butta lì due dati, di disarmante (e spaventosa) eloquenza. Dice Sommella che in Italia negli ultimi dieci anni sono cresciuti a dismisura i poveri e, contemporaneamente, si è impennata la quota di milionari, rendendo così ancora più marcate le contraddizioni “sociali” della nazione.

Scena seconda, alle ore 9.20 in un piccolo bar di corso Vittorio Emanuele II a Roma. Prezzo abituale della consumazione (cappuccino e brioche) euro 2,20, ma se l’ordinazione arriva prima delle 9.30 il costo scende a euro 1,50, per incentivare il consumo di chi va al lavoro in zona.

Quindi (aprano bene le orecchie gli economisti di professione) nell’ora di punta per le colazioni del mattino il baretto fa lo sconto, segno evidente di un bisogno del ceto medio di risparmiare ovunque possibile, come accade nei periodi di crisi profonda.

Scena terza, sempre in corso Vittorio Emanuele, cioè una delle strade più importanti e trafficate della città. Guardando ai lati delle strade si notano due fenomeni che certamente non arrivano ai tavoli delle dotte discussioni a Bruxelles o Francoforte (Ue e Bce), ma che hanno molta attinenza con la vita reale. In primo luogo i negozi chiusi o sfitti sono in numero crescente, spesso abbandonati in condizioni di evidente degrado. Inoltre la sporcizia lungo i marciapiedi (e la condizione dell’asfalto) rendono ormai la storica arteria voluta dai piemontesi (è del 1886 la delibera che lo crea, per rendere più agevole lo spostamento da piazza Venezia in direzione del Vaticano e del quartiere Prati) più simile alle strade del Cairo o di Città del Messico, giacché il confronto con le capitali europee è ormai imbarazzante.

L’Italia arranca, chi non lo vede è scemo (o pazzo). Oppure è in malafede. Il risultato del 4 marzo è tutto qui, perché di una ribellione si tratta. Ben riposta o no lo vedremo, ma negarla non ha senso. Ed è una ribellione essenzialmente economica, intimamente legata alla crescente difficoltà nelle famiglie italiane.

Che poi a Davos nessuno se ne occupi è vero, ma finisce per essere la prova documentale di una élite ormai quasi del tutto avulsa dalla realtà (degli altri).


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