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Europa, Onu e relazione bilaterale. Così l’Italia (bipartisan) stringe sulla Libia

“A colloquio con il primo ministro, Faiez Serraj, per la stabilità della Libia. Garanzia migliore per combattere immigrazione clandestina e per evitare le partenze e le morti in mare”. Dopo il vice-presidente Salvini e il ministro Moavero Milanesi, è il presidente dell’Europarlamento, Antonio Tajani, a partire alla volta di Tripoli. Sul piatto, ovviamente, il delicatissimo e caldissimo dossier migrazione, che tanto sta agitando le cancellerie europee.

Paese-chiave della sponda sud del Mediterraneo, la Libia rappresenta per l’Europa allo stesso tempo il problema principale e la potenziale soluzione al rompicapo migratorio. “La stabilità dell’Europa – ha affermato non a caso Tajani – passa dalla stabilità della Libia. L’Unione europea deve parlare con una sola voce e tutti i nostri sforzi devono essere volti a sostenere la ricostruzione di uno Stato che diventi un nostro solido partner”.

Ne è sicuramente consapevole l’Italia, che sta facendo della Libia la sua proprietà di politica estera. Oggi a Roma, il premier Conte ha ricevuto il rappresentante del segretario generale Onu in Libia, Ghassam Salamé, che più tardi incontrerà anche il ministro degli esteri, Moavero Milanesi. Si è discusso – spiega su Twitter la Missione di assistenza Onu in Libia (Unsmil) – “il processo politico in Libia, l’attuazione del piano delle Nazioni Unite e gli ultimi sviluppi nella zona della Mezzaluna petrolifera”.

Gli incontri di oggi  seguono la visita di ieri a Tripoli del titolare della Farnesina, che ha incontrato il presidente del Consiglio presidenziale libico Fajez al-Serraj, il vicepremier Ahmed Maitig, il suo omologo libico Taher Siyala e il presidente dell’Alto Consiglio di Stato Al Meshri. Al centro del blitz, dicono fonti ufficiali della Farnesina, “il sostegno dell’Italia a legittime Istituzioni libiche, centralità dialogo politico e di riconciliazione nazionale Onu, partenariato strategico”.

Oltre alla conferma degli impegni già assunti, e già annunciati, soprattutto dal vice-premier Salvini, del sostegno alla Guardia costiera libica, Moavero ha anche ribadito il sostegno italiano alla “road map” per la stabilizzazione della Libia, che, sotto l’egida delle Nazioni Unite, prevede un referendum sulla Costituzione, una conferenza nazionale aperta a tutte le parti politiche ed elezioni entro la fine del 2018. Elezioni per le quali oggi Tajani ha confermato l’appoggio dell’Ue. “Siamo pronti a collaborare attraverso la nostra amministrazione per la preparazione tecnica delle elezioni “, ha dichiarato oggi il Presidente del Parlamento europeo. Un percorso ambizioso che dovrà necessariamente vincere le resistenze dei vari e variegati attori che agitano il campo libico, e soprattutto non potrà prescindere dall’onesta e leale collaborazione delle potenze europee, e qui ogni riferimento a Parigi non è casuale.

Pur confermando il suo pieno appoggio per la strategia Onu, Roma ha in mente per Tripoli anche una solida partnership bilaterale. Se il progetto di fare outsourcing in Libia degli hotspot per i migranti europei è probabilmente destinato a rimanere un sogno di inizio estate – è confermata infatti l’assoluta indisponibilità delle autorità tripolitane – ci sono comunque ampi margini per una proficua collaborazione con Roma.

Il governo libico di unità nazionale è infatti disponibile a riattivare il trattato di amicizia e cooperazione firmato in pompa magna nel 2008 dall’allora premier Berlusconi e i leader libico Gheddafi all’ombra della tenda del colonnello, che prevedeva investimenti italiani nel Paese per 5 miliardi di dollari in cambio di cooperazione in ambito migratorio.

La partnership economica bilaterale potrebbe davvero essere la chiave per risolvere il puzzle delle migrazioni. Con un interscambio che nel 2017 ha toccato i 4 miliardi, in crescita del 34% rispetto al 2016, l’asse Roma-Tripoli è sempre più interessante anche dal punto di vista economico.  Lo stesso Moavero ha individuato nelle relazioni economiche tra i due Paesi un elemento chiave per “contribuire in maniera decisiva alla stabilizzazione della Libia”.

Il pressing italiano in Libia è anche un segnale forte per Parigi. L’Italia vuole avere un ruolo di primo piano nel dossier libico, ed è decisa a ricostruire quel rapporto privilegiato con Tripoli messo a dura prova dalla caduta di Gheddafi nel 2011. L’Italia è oggi l’unico Paese occidentale ad avere un’ambasciata aperta a Tripoli e ha sempre sostenuto gli sforzi della Comunità internazionale sul terreno, che oggi vedono l’inviato Onu Ghassan Salamé impegnato a sostegno del fragile governo al-Serraj. Lo stesso non si può dire per Parigi, che, dapprima dietro le quinte, e poi sempre più apertamente, ha, insieme a Mosca e il Cario, puntato sull’uomo forte della Cirenaica, quell’Haftar che si è impossessato del 40% del petrolio libico e si rifiuta di affidare la gestione dei terminali petroliferi della Cirenaica alla compagnia petrolifera nazionale, minacciando di passarli al “governo ombra” di Tobruk.  Sarà un caso, ma Haftar e i suoi si sono più volte dimostrati molto ostili alla presenza italiana nel Paese, minacciando la scorsa estate persino di colpire le navi italiane nelle acque territoriali libiche e agitando, anche in questi giorni, lo spettro del colonialismo per delegittimare la missione italiana.

Non sono pochi dunque gli ostacoli sulla strada della partnership italo-libica. La collaborazione è però potenzialmente win-win. Da un lato il fragile governo di al-Serraj ha maledettamente bisogno di un partner di primo piano per accrescere la sua influenza nel Paese, dall’altro l’Italia vuole evitare a tutti i costi che i 662mila migranti presenti in Libia prendano la via del Mediterraneo per raggiungere le coste italiane, e per farlo è necessario che a Tripoli sieda un governo forte e legittimato. A breve, è prevista anche la visita in Libia del ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, che ha definito la Libia “un paese importante, di interesse strategico per l’Italia, per le risorse energetiche e la presenza di imprese”. Secondo quanto riporta l’Huffington Post, il Ministro avrebbe addirittura avuto una telefonata con il suo omologo francese, Florence Parly, per ribadire che “sulla Libia la leadership è nostra”.

Tuttavia, lo sforzo potrebbe essere troppo grande per una media-potenza come quella italiana per non condividerlo con altri partner internazionali. Ecco quindi, che l’impegno dell’Ue, oggi riconfermato dal presidente Tajani, diventa fondamentale, così come l’appoggio della comunità internazionale ai negoziati delle nazioni unite.  Difficile invece, come prospetta oggi il sottosegretario agli esteri Guglielmo Picchi, che una mano possa arrivare da Mosca, i cui interessi mal si conciliano con quelli italiani. Il Cremlino gradisce certamente una Libia stabilizzata, ma per lasciarla scivolare sotto la guida di un uomo forte che, come Assad in Siria, tenga a bada le forze islamiste nel Paese. L’identikit porta sempre al generale Haftar, che non a caso riceveva a Mosca lo scorso agosto la benedizione del Cremlino.

Per riportare stabilità dalle parti di Tripoli potrebbe piuttosto avere ragione chi dice che è necessario bussare alla porta di Washington per ottenerne l’appoggio. Missione questa sicuramente non facile, ma che vale forse la pena tentare. Avere gli americani dalla propria parte garantirebbe infatti il peso politico/economico e le risorse necessarie da investire in un Paese che dal 2011 è precipitato in un vortice senza via d’uscita.

 



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