C’è chi lo ha definito monarca, chi ha boicottato l’appuntamento e chi, convintamente, lo ha applaudito. Il presidente francese, Emmanuel Macron, ha tenuto ieri un discorso di bilancio e di programma davanti a circa 900 rappresentanti dei due rami del Parlamento riuniti in Congresso a Versailles.
Una scelta che, commenta a Formiche.net Jean-Pierre Darnis, consigliere scientifico e responsabile del programma Iai sulla tecnologia e le relazioni internazionali ed esperto di cose francesi, potrebbe non essere il massimo. Versailles, inffatti, vive l’apice della Francia borbonica, ma anche la sua caduta: è a Versailles che si tennero gli Stati generali nel 1789, il 5 maggio. E successivamente, il 5-6 ottobre del 1789, Luigi XVI e la corte intera furono costretti a trasferirsi a Parigi, svuotando definitivamente la reggia.
Macron, spiega Darnis, “è un personaggio complesso: in parte è assolutamente in linea con la retorica utilizzata da tutti i presidenti francesi da De Gaulle in poi; in parte ha dei tratti dialettici e politici innovativi”.
I PUNTI A FAVORE
Quella che ha illustrato a Versailles è, secondo l’esperto dello Iai, “una visione europea, che magari non potrà essere sviluppata per mancanza di partner. E anche sul fronte interno, nonostante i sondaggi che fisiologicamente danno in calo i presidenti francesi, non sta pagando dazi troppo pesanti alla sua agenda riformista che procede, seppur con qualche intoppo. Le riforme del mercato del lavoro, delle ferrovie e dell’università non hanno finora dato vita ai grandi movimenti sindacali annunciati. Parigi ha marcato la sua presenza in grandi dossier come quello sull’intelligenza artificiale. E anche in politica estera si sono viste mosse di successo, come ad esempio in Libano e nel rapporto con gli Usa, con i quali ci sono delle opposizioni sul tema del commercio internazionale ma c’è grande sintonia su quelli di difesa e sicurezza”.
LA VISIONE DEL POTERE
Non è, però, tutto oro quello che luccica. “Ha commesso anche degli errori. Uno dei più evidenti, soprattutto per chi vive in Francia”, sottolinea il docente e analista, “è una verticalità del potere macroniano che sta dando vita ad una centralizzazione mai vista prima all’Eliseo, che manca di respiro intellettuale e democratico. Il presidente svolge addirittura in prima persona colloqui di lavoro per scegliere i direttori centrali delle amministrazioni. Una cosa un po’ imbarazzante”.
UN LINGUAGGIO POCO MODERATO
A ciò vanno aggiunti degli scivoloni sul piano comunicativo. “Assistiamo a un paradosso: all’inizio del suo mandato non parlava quasi per nulla, ora anche troppo. È senz’altro in grado di grandi slanci umani, come la decisione di trasportare la salma dell’ebrea francese Simone Veil e quella del marito Antoine nel Pantheon, luogo di sepoltura delle massime personalità del Paese. Ma viene anche percepito come arrogante e forse, probabilmente un po’ lo è. Credo però che la sua sia piuttosto una tendenza alla quale si assiste nel mondo manageriale, soprattutto quello di scuole di eccellenza come l’Ena che sfornano i futuri dirigenti dello Stato. E il suo è un linguaggio violento, poco o per nulla moderato, che però in politica può generare danni notevoli”.
IL RAPPORTO CON L’ITALIA
Uno di questi, forse il più notevole, è quello che ha visto sin da subito Macron ai ferri corti con l’Italia. “Sicuramente su alcuni temi, come quello dell’immigrazione, il Presidente francese ha adottato un linguaggio particolarmente duro soprattutto a causa di problematiche interne. La dinamica, peraltro non nuova perché è presente in Francia da vent’anni e non molto differente da quella italiana, vede tutti i moderati al governo attaccati da un lato dall’estrema sinistra che vorrebbe più solidarietà, e dall’altro dall’estrema destra che chiede un freno all’immigrazione pressoché assoluto. Non manca però una diffusa consapevolezza che la Francia abbia una certa colpa morale nei confronti dell’Italia, che in questi anni ha vissuto le difficoltà associate all’accoglienza molto più degli altri. E lo dimostra il fatto che pochi giorni fa il Consiglio Costituzionale abbia riconosciuto il diritto di fraternità, ovvero ad essere solidali”.
Ma il rapporto tra Francia e Italia è fatto anche di altre sfaccettature. “Credo che il primo di una serie di errori commessi dal Presidente francese con Roma sia stato sul caso Fincantieri. Come tutti i presidenti francesi, Macron non ha inizialmente percepito l’Italia come un interlocutore con il quale intrattenere rapporti bilaterali, ma, semmai, come un elemento utile nello scacchiere europeo per bilanciare il rapporto con la Germania”. Questa visione storica di Parigi, però, rileva Darnis, sta cambiando con il nuovo governo italiano.
LA COLLABORAZIONE CON ROMA
“Macron si sta convincendo della necessità di non trascurare il rapporto con l’Italia, soprattutto su alcuni dossier, come la Libia. Ha senz’altro una strategia per le prossime europee. In Spagna ha stretto un accordo con Ciudadanos e in Italia, prima, avrebbe forse puntato sul Pd renziano. Ora cerca invece il dialogo con Giuseppe Conte, con il quale c’è grande sintonia. Macron vede il Movimento 5 Stelle come un movimento ibrido, non privo di modernità”.