C’è una sottilissima linea rossa (anzi, rosso Ferrari) che lega uno dei manager più capaci e rivoluzionari di questo secolo alla sua terra natale: la caparbietà, l’aspetto sornione che nasconde non arrendevolezza ma tranquilla tenacia. Tranquilla perché nessuno può lenirla.
Non solo il mondo intero si è fermato per le note vicende legate alla salute di Sergio Marchionne, ma anche chi lo ha guardato come un esempio di rinascita, come occasione di orgoglio italico e perché no abruzzese.
Ha rivalutato un’azienda fallita; ha ri-dato un lavoro a chi lo avrebbe perso per sempre; ha dato un futuro a due aziende che, grazie alla folle gestione passata, non ne avrebbero avuto diritto.
Ecco cosa lascia l’ex Presidente della Ferrari e ad di Fca.
Ma oltre ai dati, ai dividendi, ai trend pazzeschi, lascia anche un’altra cosa, parimenti importante: la storia di un pezzetto di provincia italiana, costretta emigrare per affermarsi; gli studi, la voglia di emergere, di mettersi in gioco fino all’ultimo istante, come dimostra l’ennesima scommessa targata Marchionne, ovvero la 500 elettrica; e ancora, la rivalsa, la rivincita, l’idea sempre accarezzata ma mai applicata che “uno così dovrebbe fare il premier”.
Sì, il premier. Perché in grado di elaborare un nuovo alfabeto al passo coi tempi, non vendere pentole a chi magari non ha nemmeno il gas da cucina.
Per tutto quello che è stato e anche per quello che non è stato, grazie a Sergio l’abruzzese.