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Dalla marcia trionfale agli inciampi. Ecco gli ultimi passi falsi di Matteo Salvini

salvini, Mancino, magatti

Il bilancio delle ultime due settimane del ministro dell’Interno, Matteo Salvini, presenta più ombre che luci perché evidentemente l’approccio molto duro su tutti i fronti, da quello europeo a quello interno, non sta ottenendo i risultati sperati. Dal vertice di Bruxelles della fine di giugno al clamoroso caso della Nave Diciotti, il dominio mediatico si è contrapposto agli scontri istituzionali e al rinvigorimento del Movimento 5 Stelle che in superficie rivendica il taglio dei vitalizi parlamentari e sotto traccia stringe accordi con il Vaticano.

I VERTICI DELUDENTI

Dalle conclusioni del Consiglio europeo del 28 giugno non è emerso niente che vada a vantaggio dell’Italia: tutto ciò che avverrà in futuro sarà su base volontaria lasciando impregiudicata la riforma di Dublino la cui eventuale modifica avverrebbe solo all’unanimità. La conferma delle enormi e oggettive difficoltà è arrivata dal vertice del 12 luglio con i ministri dell’Interno di Germania e Austria, che per fortuna sarebbero “i volenterosi”, i quali vorrebbero che l’Italia riprendesse i rifugiati presenti sui loro territori ma registrati da noi. Stavolta perfino Salvini è cosciente di trovarsi di fronte a un muro di gomma: il suo no ai colleghi fa il paio con il suo scetticismo e aspetta i fatti che superino gli impegni verbali.

LE ONG I IL M5S FILO VATICANO

Il pugno duro utilizzato da subito contro le navi delle ong, accettato da quasi tutti anche se a mezza bocca, ha avuto come conseguenza l’allineamento del M5S alle posizioni del Vaticano e l’intervista del ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, ad Avvenire è lampante: le ong non vanno demonizzate. È un segnale politico molto rilevante perché il Movimento intende riprendersi la scena con conseguenze tutte da verificare sulle prossime decisioni del governo. A questo si aggiunge il quasi quotidiano scontro con il ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli, sulla gestione dei porti e della Guardia costiera.

LA LIBIA

Con le autorità libiche ci sono stati i primi contatti, a Tripoli e a Roma, e c’è ancora molto da fare, ma l’11 luglio Salvini ha detto che da quando c’è lui sono sbarcate 21mila persone in meno rispetto all’anno scorso. Forse il merito è soprattutto di chi l’ha preceduto, Marco Minniti, se fino al 12 luglio (dati del Viminale) è arrivato l’80,2 per cento in meno di migranti in totale e l’86 per cento in meno dalla Libia rispetto all’anno scorso, quasi 70mila persone in meno. A questo proposito, ha colpito la dichiarazione di Massimo D’Alema a In Onda su la7 il 12 luglio quando ha spiegato il crollo degli sbarchi non tanto con i meriti di Minniti (uno dei suoi più stretti collaboratori a Palazzo Chigi) quanto con un “minimo di stabilità” raggiunto dalla Libia. Stabilità di cui pochi si sono accorti, ma quando la sinistra si spacca non ce n’è per nessuno.

IL CLAMOROSO CASO DICIOTTI

La vicenda della nave della Guardia costiera non ha precedenti. Non era mai successo che s’impedisse prima l’attracco e poi lo sbarco a una nave militare: Salvini qualche volta sembra agire d’istinto dimenticando le competenze proprie e altrui. Il ministro dell’Interno non ha competenza né sui porti, che dipendono dalle Infrastrutture tranne che per motivi di ordine pubblico, né sulla Guardia costiera, che funzionalmente dipende dalle Infrastrutture pur essendo corpo della Marina militare e quindi legata anche alla Difesa, e non può ordinare che qualcuno scenda in manette da una nave perché decide la magistratura se qualcuno va arrestato o meno oltre a verificare se è possibile l’arresto una volta che non c’è più la flagranza. Stupisce lo stupore con cui Salvini ha commentato l’intervento risolutivo del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che di fatto ha costretto il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, a porre fine a una vicenda del tutto anomala. La ciliegina politica è stata messa da Luigi Di Maio, affrettatosi a dare ragione al Quirinale.

NON SI PARLA ANCORA DEI CIE

Fin dal primo giorno Salvini si è concentrato sul convincere gli altri paesi europei a condividere il peso dell’immigrazione, ad accettare più rifugiati, a rispettare gli accordi del 2015 sui ricollocamenti: tutte posizioni giuste, pur se finora senza successo. Non si parla ancora, invece, dei Cie: i Centri di identificazione ed espulsione previsti dal contratto di governo e che nelle intenzioni di Lega e 5 stelle dovrebbero raccogliere tutti gli immigrati irregolari presenti in Italia ed essere creati in ogni regione (previo accordo con le stesse). Si è scritto più volte che non si capisce come saranno accettati centri da diverse migliaia di posti quando la gran parte delle regioni ha rifiutato i Cpr (centri permanenti per il rimpatrio) voluti da Minniti che hanno un massimo di 200 posti. È probabile che il tema dei Cie sarà contenuto nell’annunciato decreto sicurezza che dovrebbe riguardare numerosi argomenti e dunque è opportuno attendere il testo dettagliato.

NUMERI IMPRECISI

Può sembrare una pignoleria, ma quando un ministro dell’Interno fornisce delle cifre di solito queste sono una garanzia. Eppure due giorni dopo il giuramento andò in Sicilia e lamentò in un’intervista che quest’anno erano già arrivati 7mila tunisini: fino a quel giorno ne erano sbarcati 2.789. Oppure in più di un’occasione Salvini ha detto che l’anno scorso sono state espulse solo 7mila persone quando sono state circa 18mila: sempre pochissime, ma non 7mila. Sono dettagli in una situazione così complicata, ma chi da casa ascolta certe dichiarazioni senza saperne niente si fa un’idea ancora più sbagliata della realtà e di sicuro non ne abbiamo bisogno.

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