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L’operazione del Mossad a Teheran: come il film “Ocean 11”

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Come nel film “Ocean 11”, così gli agenti del Mossad hanno trafugato i documenti del programma nucleare iraniano nascosti in un magazzino nel distretto Shorabad di Teheran. Lo scrivono Ronen Bergman e David E. Sanger sul New York Times, tra i pochi giornalisti che hanno avuto accesso a documenti selezionati e potuto intervistare gli ufficiali del Mossad.

A fine aprile, Netanyahu mostra le prove dell’esistenza del programma nucleare iraniano, rendendo pubblica l’operazione del Mossad che ha portato alla luce 50mila pagine e 163 dischi con programmi, video, sperimentazioni e piani per la progettazione di testate nucleari da inserire nei missili Shahab.

Dopo la firma del Jcpoa, l’accordo sul nucleare iraniano dal quale Trump si è ritirato, l’Iran ha raccolto gran parte del materiale sulle sperimentazioni nucleari, trasferendolo in una zona industriale commerciale di Teheran. Un magazzino con 32 casseforti, sistemi di allarme integrati e poche guardie per non destare sospetti. Il Mossad ha raccolto informazioni dal febbraio 2016, più di due anni di osservazioni prima dell’azione.

L’operazione del Mossad è durata 6 ore e 29 minuti. Alle 7 del mattino sarebbe passata la ronda della guardia iraniana, quindi entro le 5 i documenti dovevano già esser espatriati per permettere ai vari agenti di avere abbastanza tempo per la fuga. Il materiale sarebbe stato diviso in diverse vie di fuga, che non sono state rese pubbliche. Nessun inseguimento, nessuna traccia, nonostante l’enorme dispiegamento di forze iraniane una volta dato l’allarme.

Bergman e Sanger sostengono che di solito il Mossad preferisce copiare documenti, fotografarli e non trafugarli per non lasciare tracce. Non questa volta: una ventina di agenti sono entrati nel magazzino, disinnescando i vari sistemi di allarme, fondendo le casseforti e prendendo i documenti più importanti. Sapevano dove cercare e soprattutto cosa prendere.

Le informazioni sono state condivise con Stati Uniti e Regno Unito, che hanno confermato la loro veridicità. Il quadro che ne emerge si riferisce al 2003, all’inizio delle tensioni, quando l’Iran incomincia ad arricchire uranio, progettare testate nucleari (sempre negando l’uso militare dell’uranio), e sperimentare detonazioni – a quanto pare in una struttura nella base militare di Parchin vicino a Teheran (che le autorità iraniane hanno sempre escluso dalle ispezioni internazionali).

A quanto pare i documenti proverebbero che l’Iran era in possesso di deuteride di uranio, sostanza usata per le armi nucleari e usata anche da Cina, Pakistan e Corea del Nord. L’Iran sarebbe stato assistito da altri Stati nel programma nucleare, ma non si sa ancora quali.

L’operazione di intelligence dimostra una profonda penetrazione tra le più alte sfere della gerarchia militare e politica della Repubblica Islamica. Il 9 gennaio di quest’anno il direttore del Mossad Yossi Cohen aveva detto, probabilmente pochi giorni prima del lancio dell’operazione: “Abbiamo occhi e orecchie e molto di più in Iran”, sperando in una imminente rivoluzione contro il regime degli Ayatollah.

Il contenuto dei materiali trafugati dimostra che l’Iran aveva un programma nucleare militare, come Israele e Stati Uniti sospettavano, che ha documentato e mantenuto segreto e sul quale ha sempre mentito.

Allora l’Iran aveva l’appoggio di altri Stati, presumibilmente il Pakistan, che pur ostile all’Iran sciita, si era allontanato dalla storica alleanza con gli Stati Uniti, sicuramente Stati africani con cui aveva intessuto una serie di reazioni per la fornitura di uranio. È da chiarire se anche la Cina fosse allora coinvolta, in possesso anche di deuride di uranio. Dopo le sanzioni economiche l’accesso alle risorse necessarie al programma nucleare si è ridotto drasticamente.

Dalla firma del Jcpoa, l’Iran non avrebbe ripreso col programma nucleare, ma con il ritiro di Trump non è chiaro cosa succederà.

Le nuove pressioni sull’Iran possono non essere dettate dalla paura del nucleare, quanto invece finalizzate a fermare l’espansionismo iraniano nel Medio Oriente.

Il programma nucleare è del 2003. Dopo la battuta di arresto del 2010 (assassinio di un fisico nucleare, attacco cibernetico alle centrifughe di un sito di arricchimento dell’uranio), le sanzioni economiche hanno spinto l’Iran all’accordo del 2015. La ripresa economica ha dato respiro ad altri progetti militari, in Siria, Yemen, Libano, a Gaza e in Nigeria. Se anche non dovesse produrre una testata nucleare, l’Iran è in possesso di missili a lunga gittata che dalla Siria potrebbero colpire tutti gli alleati americani (Israele, Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti). In questa direzione anche il discorso di Netanyahu ad aprile che ha ripetutamente attirato l’attenzione sulle capacità militari iraniane oggi.

Israele continua con fermezza a bloccare l’avanzata iraniana sul cofinanziato del Golan, con altri recenti attacchi attribuiti a Israele contro obiettivi militari iraniani. L’Europa per ora tace sulla politica iraniana in Medio Oriente e continua a difendere il Jcpoa e i rapporti commerciali con l’Iran. Ma è inevitabile la definizione di una nuova politica che si allinei agli Usa, alleati più preziosi di un accordo commerciale con l’Iran degli Ayatollah.

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