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I cristiani e l’islam. Così il Medio Oriente entra nell’agenda di Papa Francesco

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Bisogna tornare agli anni cruciali della crisi dell’impero ottomano per capire la portata di quanto si accinge a fare papa Francesco, presiedendo a Bari la preghiera e l’incontro di tutti i cristiani dell’Oriente per la pace in Medio Oriente. Negli anni cruciali del malanno ottomano, per riuscire a tornare al passo dei tempi, il sultano varò le celebri riforme, tra le quali quelle sullo statuto personale; pur restando l’islam religione di stato tutti diventavano uguali davanti alla legge, cittadini ottomani, come disse entusiasta il nonno del grande scrittore cristiano Amin Maaluf, libanese e membro dell’Accademia di Francia. Era una enorme conquista, apprezzata dai tanti grandi intellettuali cristiani che l’avevano a lungo invocata, promossa. Diverso il parere delle grandi famiglie del Fanar, il quartiere di Istanbul dove aveva e ha sede il patriarcato di Costantinopoli. Per loro era meglio il vecchio sistema, che li vedeva sì sotto i musulmani, ma sopra armeni ed ebrei. E poi quel sistema garantiva il pieno controllo alle gerarchie delle proprie comunità. Questa idea, di cui ha scritto in molti suoi libri il grande Bernard Lewis, si è incrociata nel tempo a quella che vede in Mosca la terza Roma, capitale mondiale del futuro impero cristiano dopo quello romano e quello bizantino, quindi protettrice dei cristiani dell’Oriente anche per via dello speciale rapporto che lega Patriarcato di Mosca e Cremlino.

La domanda dunque diviene chiara: di chi si parla quando parliamo di cristiani d’Oriente? Per molti nel disfacimento dell’impero ottomano le potenze mandatarie dell’epoca coloniale, Francia e Inghilterra, e anche per la Russia, li usarono o considerarono loro quinte colonne in Oriente. L’espressione Cristiani d’Oriente, termine ambiguo come quello meno diffuso di cristiani d’Occidente, sarebbe in realtà evocativo della questione d’oriente. Tanto è vero che i Giovani Turchi decisero e perpetrarono il genocidio degli armeni ritenendoli le quinte colonne dei russi in Anatolia. E quei giovani manipolati dai servizi segreti francesi che causarono scontri confessionali ad Aleppo nel 1936, in piena epoca coloniale francese, indicano la stessa realtà. È stata la miscela di queste due deviazioni, russa e coloniale, a diffondere la tendenza a dar vita a chiese nazionali autocefale, sempre in buoni rapporti con i nuovi governi nazionali, nati dopo l’epoca coloniale.

Ecco perché l’evento che sta per aver luogo a Bari non ha precedenti nella storia, perché una prospettiva cittadina per i cristiani del Medio Oriente è stata perseguita solo dopo il Concilio Vaticano II, in particolare con il sinodo per il Libano voluto da Giovanni Paolo II e poi da Benedetto XVI, che ha rilanciato l’urgenza dell’uguale cittadinanza, non della protezione, con il sinodo per il Medio Oriente; obiettivo che è stato finalmente e incredibilmente portato anche nel campo del pensiero religioso islamico da papa Francesco con il suo viaggio al Cairo, che riannodando i rapporti con al Azhar ha reso possibile l’approvazione, molto osteggiata da ambienti tradizionalisti, del documento solennemente letto dall’imam di al Azhar che ha fatto della comune cittadinanza nazionale fondata su una costituzione l’obiettivo della più grande istituzione sunnita.

Solo il nuovo rapporto costruito da Bergoglio con l’imam di al Azhar poteva far attraversare questo storico fossato alla più grande istituzione culturale islamica. Traguardo epocale, visto che manda in soffitta una teologia e una giurisprudenza islamiche ancorate a un decrepito Islam autoreferente, complessato, arcaico. Un cristianesimo non più etnico, non più vincolato ai regimi nazionali che lo “proteggono”, si offre, come dice il cardinale Mario Zenari, come finestra araba sul mondo. Così, come disse padre Paolo Dall’Oglio nel marzo del 2013. Senza questa risposta all’interrogativo sul significato spirituale della loro presenza non resta che andarsene, e i numeri purtroppo lo dimostrano. Ritrovandolo invece si sfidano con la propria presenza non violenta derive culturali nichiliste e una teologia islamica retriva e nemica di milioni di musulmani reali, impoveriti, ma si sfidano anche regimi dittatoriali perché non si chiede più, come ha detto il segretario di stato vaticano cardinale Pietro Parolin, una protezione militare dal tiranno di turno, ma il rispetto del bene comune, da cittadini di quei paesi.

Ecco perché quanto si accinge a fare papa Francesco è un evento epocale ed ecco perché al suo fianco ci sarà “suo fratello”, il patriarca ecumenico di Costantinopoli, non gli interpreti di un cristianesimo troppo legato a poteri politici, se non per il tramite di loro delegati, primi fra tutti il patriarca russo e il patriarca greco ortodosso di Gerusalemme, città dove Putin ha riaperto la Società imperiale Russa.

Ma se la sfida di Francesco pone problemi a certi ambienti cristiani, che vedono il loro interesse per i regimi al potere come unica risposta alla ferocia dei jihadismi, chi si trova costretto a dover fare un balzo in avanti sono i leader religiosi islamici. Se vogliono cogliere la sfida religiosa e culturale posta da Francesco devono trovare la forza di fare davvero altrettanto, tirando fuori dalle stanze dell’Università di al Azhar il documento sulla cittadinanza fatto votare dall’imam al Tayyeb e cancellando i lugubri patti di potere con governi discriminatori e decrepiti. Francesco con una mossa di rara potenza chiama tutti ad assumersi le proprie responsabilità, da sabato nessuno leader religioso arabo potrà dire che non sapeva. Ecco perché già si annuncia la visita a Beirut e in particolare alle sue istituzioni religiose cristiane dell’imam di al-Azhar.

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