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Anche Putin gioca la carta religiosa. Il rapporto con la Chiesa ortodossa

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Il presidente russo, Vladimir Putin, ha affermato che l’adozione del cristianesimo più di mille anni fa nel territorio che in seguito divenne la Russia segnò il punto di partenza per formare la stessa Russia. Putin ha scelto un momento simbolico per i suoi commenti, usciti durante una cerimonia che ha segnato il 1030esimo anniversario dell’adozione del cristianesimo da parte di Vladimir I di Kiev, il “Santo” del battesimo del Rus, Volodomir il Grande leader del Kievan Rus, la federazione di tribù slave che ha preceduto lo Stato russo, partito in cerca di una religione per il suo popolo e convertitosi dopo aver assistito a una cerimonia nella cattedrale di Santa Sofia, a Costantinopoli — anche se per molti il motivo della conversione fu la volontà strategica di non restare fuori dall’Europa cristianizzata e sposare la principessa bizantina Anna, sorella dell’imperatore Basilio II (tutto detto con una semplificazione storiografica, ndr).

Parlando a una folla di centinai di persone tra  membri del clero e credenti riuniti davanti un’enorme statua del principe fuori dal Cremlino, Putin ha detto che l’adozione del cristianesimo è “il punto di partenza per la formazione e lo sviluppo della sovranità russa, la vera nascita spirituale dei nostri antenati, la determinazione della loro identità: identità, fioritura della cultura nazionale e educazione”.

I commenti sottolineano i forti legami tra il governo e la Chiesa ortodossa russa. L’approccio cesaropapista del presidente russo  è uscito fuori già altre volte:, per esempio, proprio durante questa stessa cerimonia, cinque anni fa disse che la grandezza della Russia non è arrivata grazie a Zar e guerre, ma il merito di Mosca a capitale di una grande potenza è proprio del cristianesimo. In quell’occasione parlava da Kiev, con a fianco il patriarca Kiril e il deposto presidente ucraino Viktor Yanuchovich: Putin esaltava l’eredità di Volodomir il Grande e il fatto che il suo lascito era proprio rappresentato nell’unità dei popoli russofoni — qualcosa che sarà poi tirato in ballo l’anno successivo per giustificare l’annessione della Crimea, la penisola sul Mar Nero dove il Santo ricevette il battesimo.

L’intreccio con la chiesa russa è profondo, coinvolge gli oligarchi e le loro ricche elargizioni simboliche, e l’ambiente religioso ricambia la considerazione che Putin gli dà nella narrazione del suo potere. Per esempio, tre anni fa, nella delicata fase che seguiva il dichiarato ingresso in guerra in Siria, con i cittadini russi che sollevavano dubbi sul dispendio di energie, vite e soldi per un conflitto di cui non sentivano appartenenza mentre in patria l’economia rallentava e la gente soffriva carenze anche basilari, fu la Chiesa ortodossa russa a dare una sponda a Putin. Il 16 ottobre 2015, in una dichiarazione ufficiale, il Patriarcato di Mosca a cui Vladimir I diede la prima forma con la conversione del 988, definì l’intervento russo in Siria a sostegno del regime di Damasco una “guerra santa” a difesa di chi perseguitava i cristiani (nota: questo genere di ricostruzione, dove il rais Assad viene descritto come una sorta pluralista che quanto meno garantiva libertà di culto mentre i ribelli vengono tutti accomunati in modo capzioso e inesatto ai gruppi radicali islamisti che non tollerano altri credo, non ha un suo unicum nella posizione della chiesa russa, ma trova altre sponde all’interno del mondo cristiano ed è una delle leve che hanno contribuito ad alzare la normalizzazione politico-internazionale di uno spietato dittatore come Bashar el Assad).

Sebbene la costituzione russa stabilisca un rapporto di parità sostanziale fra le grandi fedi del paese (cristianesimo, islam, ebraismo e buddismo), nel 1997, con Boris Eltsin presidente, la Duma, la Camera bassa, ha varato una legge, che riconosce all’ortodossia un “ruolo speciale nella storia e nella cultura del paese”. Spiegava in un vecchio articolo sul Foglio, il giornalista esperto di Russia Luigi de Biase: “Secondo i canoni della dottrina ortodossa, il diritto pubblico e quello ecclesiastico dovrebbero formare un solo ordine giuridico, anche se questa sinfonia di poteri s’è trasformata spesso in una forma di cesaropapismo […] E così Kirill viene descritto come uno degli uomini più vicini a Putin, e lo stesso vale per i religiosi più in vista di Mosca, come il metropolita Ilarion, che presiede alla politica estera della chiesa ortodossa, o l’arciprete Vsevolod Chaplin, al quale sono affidati gli affari sociali“.

A inizio mese, l’ambasciatore russo presso il Vaticano, Alexsander Avdeev, in un’intervista a Sputnik, organo di propaganda del Cremlino, ha parlato della bontà dei rapporti tra Santa Sede e Putin, ha ricordato la dichiarazione congiunta del 2015 tra Kiril e Papa Francesco (“Un documento condiviso dalla diplomazia russa”), ha spiegato che sia Mosca che il Vaticano combattono l’estremismo religioso e hanno nella loro azione fisso in mente l’abbrutimento della “qualità nel modo di pensare”, e su questo lavorano.

Il ruolo privilegiato che il presidente russo riserva alla Chieds ortodossa ha portato anche a decisioni estreme come il porre i testimoni di Geova fuori legge e slanci nazionalistici (il presidente stesso ha cercato in diverse occasioni di edulcorare uscite poco felici dei suoi uomini contro i musulmani), così come a collaborazioni più strette con Israele — e non solo perché la Russia ospita molti ebrei, o per ragioni strategiche, ma anche perché lo stato ebraico rappresenta per alcuni aspetti un modello in queste letture putiniane.

Le dichiarazioni di Putin diventano ancora più interessanti se si sovrappongono alle mosse americane, che con la grande ministeriale per il rispetto delle libera religiose che si è chiusa in questi giorni, hanno voluto proprio giocare nell’ambito del rispetto delle varie fedi il proprio impegno globalista.

(Foto: Kremlin.ru)

 

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