Il termine sovranismo, sebbene negli ultimi tempi venga sempre più spesso utilizzato, rappresenta una categoria che, di per sé, significa poco. Si tratta di un elemento di polemica politica privo in realtà di consistenza. Sostanzialmente, l’idea è quella di indicare come sovranisti quei partiti che rivendicano la sovranità monetaria nazionale rispetto all’euro.
Vi è, però, in questa visione, una sorta di rovesciamento ideologico della realtà: sembra infatti che il mondo si stia globalmente muovendo verso sistemi costituiti da monete sovranazionali e interstatali, mentre per qualche mero capriccio localistico in Europa si mette in discussione questa tendenza. In realtà, però, il mondo si regge per la maggioranza su monete nazionali; l’eccezione è l’Europa, definita dagli Stati Uniti – a torto o a ragione – uno “sciocco esperimento”. Il nostro, forse, può anche essere definito un esperimento, ma un esperimento in cui non si è badato ai risultati. Anzi, nessuno degli obiettivi più importanti che l’Europa si era posta con la creazione della moneta unica è stato raggiunto.
Ecco perché oggi vige uno stato di malcontento diffuso destinato a permanere e ad aumentare. L’urgenza non è, come hanno sostenuto in molti, quella di tornare a una moneta nazionale, bensì quella di avere una moneta che in qualche modo sia più adatta alle esigenze dei singoli Paesi.
Il fallimento dell’euro si ritrova nel mancato raggiungimento di una delle principali aspirazioni della moneta unica, quella di creare attrazione e diminuire le diseguaglianze tra gli Stati nazionali. E invece è avvenuto il contrario. La divaricazione fra Paesi poveri e Paesi ricchi è peggiorata e ciò appare evidente sia ai Paesi poveri dell’eurozona, fra cui Spagna, Italia e Grecia, sia ai Paesi più ricchi. Basti vedere, ad esempio, fenomeni come quello dell’Alternative Deutschland, in cui ci si chiede perché ci si debba far carico dei disavanzi dei Paesi più deboli o, addirittura, si rivendica il ritorno al marco.
È dunque venuta meno la fondamentale premessa della moneta unica come attrattore economico per tutti i Paesi facenti parte dell’unione monetaria. Sia in Europa sia in Italia, inoltre, si avverte ormai un profondo senso di indignazione e di malcontento verso le élite al potere. Uno dei grandi dell’Illuminismo francese asserì che la moderazione è l’assicurazione delle élite. Ed è infatti proprio quando le élite mancano di moderazione che si genera una crisi di rigetto.
Risulta dunque indiscutibile come le élite, nella globalizzazione neoliberista, abbiano fallito il proprio compito. Da un lato, vi è stato un aumento della disuguaglianza, dall’altro è chiaramente venuta meno la promessa europea secondo cui, con la moneta unica, non vi sarebbero più state crisi. Ciò non vale solo perché abbiamo alle spalle la crisi del 2008, ma perché sono sempre di più gli esperti, fra cui anche Christine Lagarde, a ritenere probabile, entro due anni, una nuova crisi di dimensioni pari alla precedente. È dunque inevitabile che si metta in moto una protesta popolare, nata anch’essa, come tutte le proteste popolari, dal tradimento del patto tra popolo ed élite.
Alcuni ritengono che alla base di questa crisi vi sia la fine dei vecchi partiti tradizionali. Credo però che in un contesto in cui le stesse ideologie sono venute meno, così come i concetti di destra e sinistra, anche la vecchia nomenclatura perda di significato. Ora bisognerà vedere cosa accadrà nei singoli Paesi; in Italia il duello fra Lega e Movimento 5 Stelle in primis. Dubito, però, che vi sia all’orizzonte un ritorno dei partiti tradizionali come potevano essere, fino a qualche anno fa, il Partito democratico o Forza Italia.
Non va dimenticato, peraltro, che anche questi ultimi partiti, a loro volta, rappresentavano già un primo superamento dei partiti tradizionali, distanti, ad esempio, dai vecchi socialisti o popolari. In futuro, probabilmente, le nuove forme partitiche daranno un’ulteriore spallata ai partiti della vecchia guardia.