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Lo show sul Sun del distruptive Trump e gli smile a porte chiuse

Il magnate Rupert Murdoch concede la scena prestando le colonne del Sun, e Donald Trump recita la parte di se-stesso-secondo-l’immaginario-comune in un’intervista incendiaria a poche ore dalla sua visita a Londra. Stavolta lo Squalo non era nella stanza, come quando Michael Gove (ex ministro brexiter fatto fuori dal governo e tornato al ruolo di fondista) intervistò il Presidente nel gennaio 2017 per il Times, ma da quando la relazione tra i due giganti del potere newyorkese è tornata forte (secondo il New York Magazine si sentono al telefono almeno tre volte a settimana, ristabilendo il legame che ha portato Ivanka a fare da amministratrice fiduciaria per le due piccole minorenni di Murdoch, le figlie di Wendi Deng), lo spazio per Trump non manca mai sui media della News Corp – vedere la Fox, per esempio.

Trump ha parlato dell’ex ministro degli Esteri, Boris Johnson, fresco di dimissioni causa Brexit (comunque si legga la vicenda), augurandosi che possa presto diventare primo ministro – e gli inglesi non l’hanno presa bene, visto i secoli di protocolli istituzionali a cui sono abituati, pur non amando completamente l’attuale premier Theresa May, che oggi ospita a pranzo l’americano, prima del té al Castello di Windsor dove il capo della Casa Bianca vedrà la Regina.

Il feeling con BoJo non è una novità: il mese scorso fu proprio l’inglese a dire, secondo una registrazione trapelata, di essere sempre più “affascinato” da Trump, e che se solo la negoziazione sulla Brexit l’avesse condotta il Prez di sicuro ci sarebbe andato giù “duro”, e avrebbe innescato il “giusto caos” per ottenere i risultati. May non mi ha ascoltato, critica Trump, la “soft Brexit” è un problema che mette a rischio gli accordi tra noi e gli inglesi, avvisa.

Poi ha attaccato il sindaco di Londra, Sadiq Khan, anche in questo caso seguendo un filone non nuovo. Già bersagliato in passato (per esempio i tweet avvelenati dopo l’attacco al London Bridge del giugno scorso), Trump lo ha riaccusato di “fare un brutto lavoro” sul crimine e “pessimo” sul terrorismo (con velato accenno alla sua origine, pakistano e musulmano sunnita: già successo anche questo) e ha colto l’occasione per rimproverare il sindaco per aver permesso al dirigibile “Trump-Baby” di sorvolare la città durante la sua visita.

Poi è passato all’Europa, restando su Khan e accusandolo di aver aperto le porte agli immigrati. Non c’è un nesso diretto, ma nello stile distruptive del Presidente americano non serve seguire troppo la logica: “Penso che permettere a milioni e milioni di persone di venire in Europa sia molto, molto triste. Guardo le città in Europa e posso essere specifico se vuoi. Hai un sindaco che ha fatto un lavoro terribile a Londra. Ha fatto un lavoro terribile”, ha detto al suo intervistatore, Tom Newton Dunn.

Ancora, più in là nell’intervista: “Permettere che l’immigrazione si svolga in Europa è un peccato. Penso che abbia cambiato il tessuto dell’Europa e, a meno che tu non agisca molto rapidamente, non sarà mai quello che è stato e non lo intendo in senso positivo”.

Il Sun non è il Wall Street Journal, altro quotidiano di Murdoch, dove l’ingerenza del capo sulla linea pro-Trump sta scuotendo l’equilibrio redazionale (vedere per esempio le parole di Rebecca Blumenstein, 22 anni al Wsj, partita febbraio a 2017 per il New York Times: brindisi per il saluto ai colleghi chiuso con un “never give up“). Sul tabloid londinese passa tutta l’aggressività del trumpismo, che è almeno la faccia pubblica del Presidente.

È il classico (pure questo) “big show” di Trump, come lo hanno chiamato un capo di stato e alcuni diplomatici che hanno parlato con la Cnn in forma ovviamente anonima, del presidente americano durante il summit Nato. Ringhia in pubblico e ride in privato, dicono: davanti alle telecamere cerca lo spettacolo, sa che in quel modo si parla di lui e i suoi fan possono infiammarsi; poi, quando le porte si chiudono, si siede ai tavoli con maggiore professionalità e soprattutto moderazione.

Ma quell’aspetto ha importanza relativa: ora quello che conta è conquistare i voti per le Midterms, con cui poi mantenere il Congresso in mano ai repubblicani e placare gli animi più agitati del partito.

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