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Prevenire è meglio che curare. Così il Senato Usa blinda la Nato

Nato stoltenberg

Quattro senatori americani hanno introdotto una proposta di legge bipartisan in Senato per impedire all’attuale presidente e qualsiasi altro in futuro di provvedere in modo indipendente alla decisione di ritirare gli Stati Uniti dalla Nato. I firmatari sono due democratici, Tim Kaine della Virginia e Jack Reed del Rhode Island, e due repubblicani, John McCain dell’Arizona e Cory Gardner del Colorado.

Lo statement congiunto, diffuso per primo dal sito di Kaine, recita esplicitamente: “Le minacce condivise che noi e i nostri partner affrontiamo dalla Russia, dai terroristi, dagli attacchi informatici e dalle armi nucleari rendono la Nato più importante che mai e, proprio come era richiesto per aderire alla Nato, dovrebbe essere richiesta l’approvazione del Senato prima che questo Presidente, o qualsiasi presidente degli Stati Uniti, possa [decidere di] ritirarsi”.

Altro richiamo puntuale: “Qualsiasi attacco contro un alleato sarà considerato come un attacco contro tutti noi, come stabilito nell’Articolo 5 del Trattato di Washington”. Sembra anacronistico che i senatori americani ricordino al loro presidente uno dei principi chiave su cui si basa l’alleanza dal 1949, ma la difesa collettiva è stata messa più volte in discussione – come mai prima –proprio da Donald Trump.

L’ultima in senso cronologico, pochi giorni fa. Davanti a una domanda velenosa adeguatamente preparata da Tucker Carlson di Fox News – “Perché mio figlio dovrebbe andare in Montenegro per difenderlo dagli attacchi?”, chiedeva il giornalista. Trump aveva risposto: “Ho fatto la stessa domanda: il Montenegro è un Paese minuscolo con persone molto forti … Sono persone molto forti, sono persone molto aggressive, possono diventare aggressivi e, congratulazioni, sei nella Terza guerra mondiale”.

Trump – che nella risposta ha evidentemente mal interpretato il concetto dell’Articolo 5, in cui si prevede la risposta collegiale soltanto in caso di difesa, e dunque di aggressione subita da un Paese membro – aveva poi aggiunto: “Non dimenticarti, sono appena arrivato, poco più di un anno e mezzo fa, ma ho preso la parola tre o quattro giorni fa e ho detto che devi pagare”, riferendosi all’ultimo summit Nato in cui ha confermato l’impegno americano, ma più che su una questione strategica e culturale ha impostato il rapporto con gli alleati su un piano greve di mutui interessi (sintesi all’osso: difesa in cambio di relazioni commerciali; per stare nella Nato devi spendere soldi in armamenti, possibilmente made in Usa).

“Più di 1.100 soldati dei Paesi della Nato sono stati uccisi in Afghanistan dal 9/11”, hanno invece scritto i quattro senatori nella loro dichiarazione congiunta: “Eppure il presidente Trump chiama queste nazioni nostri nemici e denigra i loro leader mentre si avvicina ai nostri avversari”. La guerra in Afghanistan – in cui è ancora impegnato un contingente italiano, la cui missione è stata confermata dal nuvo governo – è stata proprio l’unico esempio di applicazione dell’Articolo 5; e fu usato per difendere gli Stati Uniti, finiti sotto attacco del gruppo terroristico al Qaeda nel 2001, i cui leader vivevano protetti dal regime talebano afghano.  La cosiddetta “clausola d’impegno” fu resa operativa dal 2 ottobre del 2001, mettendo in pratica, al fianco di Washington, il nocciolo politico-militare dell’atto istitutivo dell’Alleanza Atlantica che adesso i senatori blindano da colpi di testa della Casa Bianca (attuale o futura).

Quella di giovedì è la seconda mossa che i congressisti americani fanno verso la Nato e in anticipo su eventuali posizioni di Trump, nel giro di dieci giorni. Con 97 voti a favore e 2 contrari, il Senato americano aveva approvato già l’11 luglio una mozione a sostegno della Nato. Era stato questo il messaggio che i legislatori della Camera alta avevano voluto affidare a Trump il giorno stesso in cui il presidente si stava per imbarcare per la tournée europea che lo avrebbe portato prima a Bruxelles, al summit dell’Alleanza, poi a curare la special relation con Londra e infine al faccia a faccia col russo Vladimir Putin di Helsinki.

 

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