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Conte alla Casa Bianca. Il senso della visita spiegato dall’ambasciatore Massolo

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“Great!”, fantastico, a margine del G7 canadese del giugno scorso il Presidente Usa Donald Trump accoglieva così il neo-insediato presidente del Consiglio italiano, Giuseppe Conte, riservandogli uno degli epiteti simbolo della retorica trumpiana. Sarà il comune stigma del populismo che sono condannati a portare, o la condizione, anch’essa comune, di neofiti della politica, fatto sta che i due presidenti, sin dai loro primi incontri, hanno subito fatto sfoggio di una certa chimica positiva.

Chimica che entrambi desiderano approfondire nel bilaterale in programma il 30 Luglio prossimo a Washington, dove il presidente Conte è stato invitato “per un colloquio privato seguito da una riunione bilaterale estesa”. Il vertice sarà ovviamente utile per confrontarsi sui temi più caldi dell’attualità internazionale. “L’Italia – ha affermato al Casa Bianca nell’annunciare la visita di Conte –  è cruciale per portare stabilità nella regione del Mediterraneo”. Per un’analisi informata delle potenzialità di questa visita e per collocarla nella più ampia strategia diplomatica dell’esecutivo, Formiche.net ha contattato l’Ambasciatore Giampiero Massolo, presidente dell’Ispi e numero uno di Fincantieri.

Ambasciatore Massolo, il presidente Conte, come quasi tutti i suoi predecessori, vola a Washington per puntellare la storica relazione bilaterale tra Italia e Usa e per ottenere l’appoggio statunitense sui temi più importanti. Cosa si aspetta dal vertice?

 Andare a parlare con il nostro maggiore alleato è sicuramente un’opportunità importante, da modo di fare una messa a punto complessiva sia dei rapporti bilaterali, che mi sembra siano intensi, sia per quanto riguarda i principali dossier che interessano l’Italia più da vicino.

Molti, dopo Brexit, hanno pensato che proprio all’Italia potesse passare il testimone della Special Relationship con l’alleato americano. Recentemente, è stato il ministro Moavero a dire che l’Italia punta a essere un partner privilegiato degli Usa. La visita di Conte è un ulteriore tassello in questa direzione? 

L’Italia è sempre stato un partner privilegiato degli Usa; per posizione geografica, per l’importanza che rivestiva nel mondo della Guerra fredda e nel post, visto che non si può dire che il fronte delle crisi internazionali si sia allontanato dalla Penisola. Se invece per rapporto privilegiato si intende una connivenza con l’amministrazione Trump in funzione di una diversa ortodossia europea, non vedo questo rischio. Non credo che Trump voglia disfare l’Europa, o che sia alla ricerca di grimaldelli che l’aiutino in questo intento. Credo piuttosto che il Presidente americano voglia che l’Europa si assuma crescentemente le sue responsabilità e faccia la sua parte nella scena internazionale, per diventare un interlocutore che da parte americana non sia percepito come qualcuno ai cui oneri contribuire ma come un partner che fa la sua parte. L’Italia da parte sua ha già impostato una linea politica che va in questa direzione, ponendo sul tavolo europeo dei problemi molto concreti, come l’immigrazione e la crescita. Credo che anche il disegno del governo italiano sia quello di contribuire a rafforzare l’Europa, attribuendole crescenti dosi di responsabilità. Ho l’impressione che i due si intenderanno, e che questa intesa non andrà a danno di nessuno.

È innegabile però che la sintonia mostrata dall’amministrazione Trump verso il governo Conte non ci sia nei confronti di altre cancellerie europee..

Guardi, io direi che lo spirito dei tempi va in una direzione ben precisa, che motiva l’attenzione dei due esecutivi alle esigenze manifestate dai cittadini e dalle forze profonde che si muovono nei i due Paesi. Da questo punto di vista vi è sicuramente dell’assonanza e della solidarietà tra il governo italiano e quello americano.

Venendo ai dossier che interessano da vicino il nostro Paese, crede che Conte cercherà in Trump una sponda per la gestione della crisi Libica e della questione migratoria? 

Gli Usa hanno sempre dato molto ascolto e seguito con attenzione sia le nostre valutazioni sulla Libia sia la nostra linea di azione. Gli americani hanno sicuramente nei confronti di quel Paese un’attenzione diretta focalizzata sulla lotta terrorismo jihadista. Noi invece guardiano più alla sua dimensione complessiva, che comprende la questione migratoria, quella dello sviluppo e della potenzialità energetica. In ogni caso credo che la collaborazione con gli americani sulla Libia non sia alternativa ma complementare agli altri schemi di alleanze che sono già in campo.

Le recenti dichiarazioni di Salvini al Washinton Post sulla presunta legittimità dell’annessione russa della Crimea hanno di nuovo scatenato il dibattito sulle sanzioni contro Mosca e sull’atteggiamento da tenere nei confronti della Russia. Vede anche qui spazi di convergenza con Washington? 

La posizione del governo mi pare sia stata chiarita dal ministro Moavero in parlamento, che ha ribadito che l’Italia non riconosce l’annessione. Credo peraltro che Salvini abbia posto nella sua intervista un tema reale, che riguarda cosa fare della Russia. È possibile ignorare un Paese con una tale estensione e una tale capacità di intervenire nelle crisi internazionali? Le sanzioni sono uno strumento in grado di indirizzare i comportamenti di Mosca o solo un esercizio fine a se stesso? Sono domande reali, direi tradizionali per un Paese come Italia, che ha profonde relazioni culturali, economiche e politiche con Mosca. Credo che siano gli stessi interrogativi che si pone il Presidente Trump. Ovviamente tali domande sono anche oggetto di approfondimento e accordi internazionali e devono essere mediate con gli alleati. Anche Trump, d’altronde, deve confrontarsi su questi temi con gli altri componenti dell’amministrazione e con il Congresso. Vedo, in ogni caso, una similitudine nell’analisi e nelle domande che Italia e Usa si pongono, che però non penso che sfocerà in dei comportamenti per fare pressione sugli alleati.

 

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