Israele e Hamas stanno trattando in via indiretta un accordo di tregua per alleviare la crisi di Gaza, soggetta a sanzioni di Israele, Egitto e Autorità Palestinese, e neutralizzare il pericolo militare, compresi missili, infiltrazioni e tunnel.
Il leader di Hamas Yahya Sinwar ha detto ieri che la calma nella regione potrà regnare anche senza un accordo. Lo avrebbe detto alla conferenza stampa organizzata dopo il vertice Hamas-Jihad Islamico, durante il quale si sarebbe stabilito che la fine dell’embargo è in capo alle priorità delle due organizzazioni terroristiche.
L’Anp si oppone all’accordo, perché lo considererebbe una vittoria e legittimazione dell’amministrazione americana che tenta di perseguire il cosiddetto “deal of the century”. I giornali vicini all’amministrazione di Ramallah riportano che Abu Mazen ha parlato ieri con il presidente egiziano al-Sisi, coinvolto nelle trattative tra Hamas e Israele, sottolineando l’importanza “dell’unità nazionale” e della “legittimità dell’Anp”.
Secondo il quotidiano libanese al-Akhbar, l’opposizione dell’Anp sarebbe più netta e si dirigerebbe anche contro l’Egitto. Il giornale riporta fonti palestinesi che disapprovano le iniziative egiziane e vorrebbero la supervisione diretta degli accordi di tregua. Nel timore che un tale accordo possa legittimare Hamas, l’Anp pretende dall’Egitto che prima porti avanti il processo di riconciliazione interna e poi si faccia tramite per una tregua con Israele.
Per contro, il rappresentante di Hamas in Libano Osama Hamdan ha detto, come riportato dal sito dell’organizzazione, che l’Anp “ha deciso di opporsi al consenso nazionale”, identificando le sanzioni imposte da Ramallah a Gaza con “l’assedio”, cioè l’embargo imposto da Israele, operando un’equiparazione tra dirigenza di Ramallah e nemico sionista. La tregua, secondo Hamdan, è necessaria per mantenere “l’unità nazionale” e per alleviare le sofferenze di Gaza.
Critiche all’Anp vengono anche da dentro Fatah. In un comunicato trasmesso attraverso la moglie Fadwa, il leader militare di Fatah Marwan Barghouti, fondatore delle Brigate dei Martiri di al-Aqsa, ha attaccato l’Anp per l’opposizione a Hamas mentre continua la collaborazione con Israele su questioni di sicurezza. Barghouti, acclamato da non poche fazioni politiche come il prossimo leader dell’Anp, usa in funzione anti-Abu Mazen la posizione oltranzista del boicottaggio totale di Israele, comprese le collaborazioni di sicurezza.
Israele può raggiungere un accordo con Hamas, che pur minaccia di lanciare in pochi minuti lo stesso numero di missili lanciato negli ultimi due mesi, visti anche gli sforzi investiti nel coinvolgere altre organizzazioni come Jihad Islamico. I benefici per la sicurezza e la tranquillità del confine sud sono evidenti. Proprio la divisione tra Hamas e Anp gioca a favore dell’accordo.
Una possibile conseguenza di un tale accordo sul fronte palestinese potrebbe sortire però effetti negativi. La popolarità di Hamas, diffusa anche tra i non islamisti per le sue posizioni oltranziste, rischia di consolidarsi ulteriormente e indebolire Abu Mazen, la cui successione di potere si trasformerà in un “chi è più anti-Israele”, nelle parole e nei programmi. Se Hamas dovesse risultare vincitore nelle trattative, non v’è dubbio che l’immagine costruita al pubblico sarebbe quella del movimento che più si oppone al nemico sionista e più è capace di perseguire gli interessi dei palestinesi. Sulla stessa linea la voce di Barghouti, di cui molti chiedono la scarcerazione.
Se Israele deve garantire la sicurezza dei confini al sud come prima cosa, deve anche muoversi cautamente per garantire in un futuro un partner con cui mantenere un dialogo e una collaborazione quotidiane (pur se non ufficiali).