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Il disastro di Maduro in Venezuela è certo. L’attentato contro di lui lo è meno

Il presidente venezuelano Nicolas Maduro dice di essere scampato, sabato, a un tentativo di assassinio. La formula “dice” è necessaria, perché spesso le ricostruzioni del regime sono alterate a favor di propaganda, e il paese è uno dei più chiusi alla presenza di giornalisti internazionali.

Le autorità di Caracas dicono che, mentre il presidente stava parlando dal palco di una parata militare per l’81esimo anniversario della Guardia nazionale, trasmessa in diretta televisiva, due droni armati sono esplosi. Avrebbero dovuto essere usati per uccidere lui e l’alta gerarchia che lo circondava in quel momento: non è chiaro se siano stati abbattuti o esplosi per sbaglio.

Secondo un esperto di Venezuela sentito dalla Associated Press, potrebbe non essere stata una messinscena. Maduro stava parlando davanti a pubblico, telecamere e giornalisti; la prima esplosione, chiaramente avvertita, lo ha lasciato stupito, per un attimo ha smesso di parlare, poi ha ripreso (dice di aver pensato fosse un effetto pirotecnico); dopo la seconda, gli uomini della sicurezza sono intervenuti e lo hanno protetto con dei speciali cuscini anti-proiettili. Tutto, secondo l’esperto della AP, gestito piuttosto goffamente: un’incertezza che  lo ha mostrato vulnerabile — mentre Maduro è un presidente autoritario che gioca il suo potere sull’eterno concetto dell’uomo forte, le cui debolezze non devono essere rese pubbliche, al punto che El Nacional, l’ultimo giornale indipendente del paese (quello che scoperchiò i collegamenti tra regime e narcotraffico nel 2015), sta per chiudere bombardato dalle pressioni del governo.

I due droni sarebbero stati confezionati artigianalmente, dice l’esperto ad AP, e per questo non hanno portato a termine la loro missione, però l’agenzia stampa americana scrive anche che alcuni vigili del fuoco hanno contraddetto la versione trasmessa dal governo. Le due detonazioni sarebbero state collegabili a una fuga di gas in un palazzo vicino al luogo della parata. Sono circolate alcune foto, ma non è chiaro quanto siano contestualizzabili, visto quanto è complicata la penetrazione della stampa libera nel paese.

La ricostruzione sui mandanti dell’attacco, letta personalmente da Maduro poche ore dopo l’attacco, sembra piuttosto articolata (e fantasiosa). Secondo il presidente, che ha dato la versione dal suo palazzo di Caracas in diretta televisiva, annunciando che i colpevoli sono già stati catturati, “tutto conduce all’estrema destra venezuelana in alleanza con l’estrema destra colombiana, e dietro all’attacco c’è il presidente colombiano Juan Manuel Santos“. La presidenza colombiana ha già smentito coinvolgimenti; Santos lo scorso anno ha vinto il premi Nobel per la Pace per il negoziato con le Farc.

Già l’anno scorso un agente di polizia aveva preso l’iniziativa e cercato di di attaccare gli uffici del palazzo presidenziale con un elicottero dirottato, poi era stato catturato e ucciso. La realtà è che il Venezuela è un paese sfiancato da cinque anni di governo Maduro, che ha rivinto le elezioni a maggio e sta offrendo al paese un futuro tetro. Istituzioni democratiche come il Parlamento sono state chiuse dopo che le opposizioni ne avevano preso la maggioranza alle elezioni: ora esiste un organo con potere legislativo parallelo, controllato dai sostenitori del presidente – la forzatura istituzionale è stata accompagnata da proteste pubbliche, represse con un centinaio di morti.

La crisi venezuelana è profonda: nel paese si soffre letteralmente la fame, per comprare alimenti come uova e farina, o latte, servono settimane di stipendi, con un’inflazione in salita, secondo il Fondo monetario internazionale, verso il milione per cento; perfino la carta igienica è qualcosa che non tutti possono permettersi. Il governo populista venezuelano ha vantato un’improbabile sovranità monetaria con cui stampare continuamente moneta fino a renderla carta straccia; ora corre ai ripari, per evitare una dollarizzazione — che sarebbe devastante per la retorica politico-ideologica del regime al potere — a un’altreattanto improbabile nuova moneta, il Petro, creata per bloccare l’aumento dei prezzi sul presupposto, taciuto, di perdita di sovranità monetaria.

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Il Venezuela è uno stato ricco di petrolio, ma le sue produzioni si sono ridotte al punto di innescare l’aumento dei prezzi del greggio dei mesi scorsi. Attualmente il tasso di povertà sta intorno all’87 per cento. Negli ospedali non ci sono medicine e si stanno diffondendo malattie come la malaria. Maduro non ammette la situazione, il governo che comanda è un esempio di sovranismo tragicomico dove il complottismo ha preso il potere sul paese, tra corruzione diffusa e autoritarismo, redistribuzione non efficace, nazionalizzazioni ideologiche guidate da interessi del potere, spesa pubblica fuori controllo: ma come da dottrina classica, per ogni aspetto negativo il governo incolpa cospirazioni che dall’esterno spingono per ferire il Venezuela (è il caso per esempio delle accuse senza mostrare prove contro il colombiano Santos per l’attacco di sabato).

 



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