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Gli avversari non capiscono Salvini. E il motivo c’è

La ragione essenziale per cui molti avversari di Matteo Salvini faticano a prendergli le misure è che lo trattano da ministro dell’Interno, mentre lui fa essenzialmente altro, cioè il leader politico.
Per quanto banale possa apparire, il tema è dirimente e riguarda un po’ tutti, specialmente a sinistra.
Anche i più avveduti infatti continuano a ragionare sui suoi provvedimenti, sulle sue decisioni (così anche Minniti ieri sera con i bravi Parenzo e Telese su La7), giudicandolo (e quasi sempre criticandolo) in base a criteri “di governo”, tipici di quando si valuta un membro dell’esecutivo.

È però ormai del tutto evidente che Salvini ha in testa ben altro, collocando la sua attività di ministro “al servizio” del suo disegno politico e tenendo per sé esclusivamente la quota di potere che serve allo scopo, delegando tutto il resto alla struttura ed al suo efficiente Capo di Gabinetto.

Ora bisogna aver chiaro che il Palazzo del Viminale non necessariamente si pone di traverso a questo modo di ragionare.
Esso è infatti solido come nessun altro palazzo della Repubblica (una volta lo avremmo anche detto della Banca d’Italia, quando c’era la moneta nazionale), consapevole della sua forza e della sua formidabile penetrazione nel tessuto vivo del Paese, quindi perfettamente in grado di gestire le sue attività avendo al vertice un ministro “tutto politico”, soprattutto quando (ed è il caso di Salvini) egli si colloca senza indugio dalla parte delle forze dell’ordine.

Insomma il modo di fare il ministro del leader della Lega non trova oggi e non troverà domani ostacoli interni, perché quel palazzo vede come la peste le intrusioni politiche eccessive ed apprezza chi tocca con garbo gli equilibri del Viminale garantendo copertura sul fronte esterno, di cui spesso c’è bisogno.

Questo modo di fare disorienta però gli avversari, che invece hanno puntato tutto sulla trasformazione di Salvini da capo politico in governante.

Egli invece, come abbiamo visto plasticamente nella giornata di ieri con Orban, nutre sistematicamente il suo profilo pubblico alla fonte della politica, guardando ad un approccio totalmente nuovo (per quanto discutibile) sul fronte dell’immigrazione e del rapporto con l’Europa.

Tutto ciò però non interpretando questi temi in chiave “ministeriale”, ma inserendoli integralmente in una prospettiva politica, di totale rottura con il passato.
Egli cioè propone ai suoi sostenitori un sogno, una meta ideale, un obiettivo “rivoluzionario”.
L’esatto contrario dell’approccio riformista e del “bravo ministro” usato dai suoi predecessori ed in particolare dal più apprezzabile di essi, cioè proprio Marco Minniti.

Dove condurrà tutto questo è difficile dirlo, perché le analisi di lungo periodo sono inutili, fallaci d mortalmente noiose. Per Salvini conta la primavera del 2019, quando si vota per l’Europa. E scusate se è poco.

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