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Brexit, l’impatto sulla difesa europea nell’analisi di Paola Sartori

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Mentre il governo britannico è praticamente in vacanza, a otto mesi dalla scadenza del 29 marzo 2019, l’opzione più realistica sul tavolo dei negoziati al momento – sia per questioni politiche interne al Regno Unito sia per le posizioni negoziali intransigenti dell’Unione europea – sembra essere quella di una Brexit molto soft. Così soft che secondo Boris Johnson, ex ministro degli Esteri del governo May, sarebbe una Brexit solo di nome, ma non di fatto. I giorni dello slogan che inizialmente aveva guidato la campagna dell’attuale primo ministro conservatore “no deal is better than a bad deal” sembrano quindi ormai superati da una maggiore consapevolezza rispetto ai reali effetti socio-economici che l’uscita dell’Ue implicherebbe per i britannici.

EVITANDO IL NO-DEAL, BENEFICI PER LA DIFESA EUROPEA

Nonostante il piano del governo May non abbia convinto totalmente l’Unione, che ha recentemente esposto le proprie perplessità rispetto alla realizzazione di alcune delle soluzioni proposte, il recente Libro Bianco britannico sulla Brexit non è stato rigettato perché alcuni elementi sarebbero “molto utili” secondo le parole di Michel Barnier, responsabile dei negoziati per l’Ue.

Il raggiungimento di un compromesso è cruciale per scongiurare l’ipotesi di una Brexit “no-deal”, che avrebbe conseguenze fortemente negative sulle economie di entrambe le parti, con importanti ricadute anche sul settore dell’aerospazio, della difesa e della sicurezza.

La realizzazione di uno scenario che preveda, invece, un sostanziale allineamento da parte britannica al mercato unico, all’unione doganale e alla giurisdizione della Corte europea di giustizia consentirebbe di mantenere a livello economico e commerciale una situazione simile a quella attuale con il regolare e libero flusso di prodotti, lavoratori, capitali e servizi, e un forte allineamento degli standard regolatori.

Queste condizioni favorirebbero senz’altro la definizione di una partnership tra Ue e Gran Bretagna in materia di difesa, non solo consentendo di preservare i legami di stretta e proficua cooperazione industriale e intergovernativa tenuti sinora, ma agevolando anche la partecipazione del Regno Unito ai progetti lanciati nell’ambito dello European Defence Fund (Edf) e della Permanent Structured Cooperation (PeSCo).

INIZIATIVE EUROPEE E PARTECIPAZIONE BRITANNICA: LE REGOLE DEL GIOCO

Mentre la posizione della Commissione europea all’interno dei negoziati sulla Brexit sembra essere guidata dall’imperativo di garantire la massima coerenza e coesione del mercato unico, e preservare così il progetto europeo dalle crescenti spinte centrifughe e nazionaliste, diverse aziende di aerospazio, difesa e sicurezza (Airbus in modo particolare) hanno fatto notare come l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue senza alcun accordo, o senza un accordo vantaggioso, avrebbe importanti ricadute negative che potrebbero anche condizionare la loro strategia industriale.

Questa posizione sembra essere riuscita ad influenzare i negoziati per la definizione del regolamento dello European Defence Industrial Development Programme (Edidp). Regole che, a fronte di 500 milioni di euro stanziati per il triennio 2018­-2020, attualmente prevedono che le aziende basate nell’ Ue e controllate da società di un Paese terzo – o dal governo stesso – possano beneficiarie dei fondi, a patto che lo Stato in cui sono basate fornisca le necessarie garanzie alla Commissione riguardo a struttura della governance, indipendenza da interferenze del Paese terzo e tutela delle informazioni sensibili. La cooperazione con le imprese basate in Gran Bretagna, invece, è soggetta a ulteriori limitazioni e le attività che le vedessero coinvolte non sarebbero finanziabili nell’ambito del programma.

L’approccio adottato per regolare la partecipazione ai programmi finanziati dall’Edf a partire dal 2020 appare ulteriormente inclusivo rispetto al Edidp. La proposta di regolamento della Commissione, infatti, prevede che siano ammissibili tutti quei soggetti basati in Stati membri della European Free Trade Association (Efta), tra cui appunto il Regno Unito. Per sapere se questa posizione sarà o meno confermata si dovrà attendere almeno l’inizio del prossimo anno, quando dovrebbe iniziare la procedura decisionale del cosiddetto trilogo.

Per quanto riguarda, invece, la PeSCo la definizione dei criteri per la partecipazione degli Stati terzi dovrebbe avvenire tramite decisione del Consiglio entro la fine del 2018.

AUTONOMIA STRATEGICA E COOPERAZIONE CON LONDRA: QUALE GIUSTO EQUILIBRIO?

La definizione di un accordo di cooperazione Ue-Regno Unito nell’ambito della difesa dovrà necessariamente tenere conto degli obiettivi dell’Unione, che con il lancio di Edf e PeSCo mira a sostenere gli sforzi verso un maggiore livello di ambizione e un appropriato livello di autonomia strategica. Fino ad oggi la cooperazione europea in materia di difesa è avvenuta principalmente a livello intergovernativo, e molte cooperazioni per lo sviluppo di capacità – tra cui l’Eurofighter – hanno visto la Gran Bretagna giocare un ruolo di primo piano. Se da un lato la partecipazione di un Paese terzo a queste iniziative potrebbe compromettere il raggiungimento di una certa autonomia stategica, è pur vero che l’esclusione di Londra dall’architettura europea di difesa costituirebbe una grossa perdita per l’Ue sia in termini di risorse finanziarie sia in termini di capacità, con ripercussioni negative soprattutto per quanto riguarda la realizzazione dei progetti più ambiziosi, sia in ambito PeSCo che Edf.

Non solo, la mancata definizione di adeguati meccanismi di cooperazione con Londra rischierebbe di compromettere anche gli stessi sforzi di integrazione europea. Alcuni Paesi europei, infatti, potrebbero essere portati a preferire collaborazioni di tipo intergovernativo, al di fuori della cornice Ue, pur di poter includere la Gran Bretagna.

In questo contesto, per definire una partnership tra Ue e Regno Unito senza che la partecipazione britannica rischi di mettere in discussione gli sforzi europei, l’Unione dovrà necessariamente introdurre maggiore chiarezza rispetto a questo dossier. Questo vale soprattutto per quanto riguarda il suo livello di ambizione e la definizione di “livello appropriato” di autonomia strategica, auspicato nella Eu Global Strategy. Solo così può essere delineato un rapporto di cooperazione che rispecchi e rispetti gli interessi di entrambe le parti, nonché della difesa e della sicurezza degli europei.

(Articolo pubblicato sul sito Affarinternazionali)



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