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Caso Scieri, la svolta 19 anni dopo grazie alla commissione d’inchiesta

Ci sono voluti esattamente 19 anni per capire in modo probabilmente definitivo che cosa accadde nella caserma “Gamerra” di Pisa al parà di leva Emanuele Scieri, scomparso il 13 agosto 1999 e trovato morto il 16 agosto alla base di una torretta di addestramento; o, forse, per avere la conferma di quello che tutti pensarono in quei giorni: laureato in Giurisprudenza e già praticante in uno studio legale, 26 anni, siracusano, Scieri morì per un atto di nonnismo. Questa almeno è la convinzione della procura di Pisa che ha riaperto l’inchiesta, affidata alla Polizia, dopo le conclusioni della commissione parlamentare d’inchiesta presieduta nella scorsa legislatura da Sofia Amoddio (Pd) e che ha portato a un arresto per concorso in omicidio volontario.

L’ARRESTATO STAVA PER FUGGIRE 

Da tempo c’erano tre indagati e c’è stata un’accelerata perché uno di loro, Alessandro Panella di 39 anni, stava per fuggire negli Stati Uniti essendo anche cittadino americano. Il gip ne ha quindi disposto il fermo. L’ha spiegato il procuratore Alessandro Crini precisando che l’accusa nei confronti dell’ex commilitone di Scieri è concorso in omicidio volontario perché dalle indagini emergono “modalità tali da ritenere che contro Scieri ci sia stata un’aggressione da parte dei ‘nonni’ anche mentre era a terra. Si tratta di ipotesi indiziarie che sono suffragate anche dalle consulenze tecniche allegate alle conclusioni della commissione parlamentare d’indagine”. La pesantissima accusa di omicidio volontario, che va ben oltre la pur deprecabile prassi del nonnismo dell’epoca, è basata sulla convinzione che Scieri sia stato lasciato agonizzante a terra mentre, secondo il procuratore, c’era il tempo per soccorrerlo. Non si tratta di congetture perché è una convinzione “ricavata dai vecchi accertamenti e attualizzata con quelli peritali effettuati dalla commissione parlamentare. Sulle modalità con cui si sarebbero svolti i fatti c’è stata sostanziale condivisione anche con le testimonianze che abbiamo raccolto”.

DECISIVA LA COMMISSIONE D’INCHIESTA 

Nelle 6mila pagine e con le 45 audizioni la commissione ha dato la svolta escludendo il suicidio e facendo emergere le falle di un sistema disciplinare “fuori controllo”. Oggi il presidente di quella commissione, Amoddio, rivela che il nome del fermato era uno di quelli indicati negli atti secretati che furono inviati alla procura di Pisa: la commissione concluse che Scieri fu aggredito prima di salire sulla torretta d’addestramento come dimostrano una scarpa trovata troppo distante e alcune ferite.

IL CLIMA DI QUEGLI ANNI  

Bisogna tornare a quegli anni, a quelle Forze armate, per capire oggi come sia stato possibile che un ragazzo di leva morisse in una caserma. Da tre anni era stato avviato l’iter normativo che avrebbe portato alla professionalizzazione dei militari, ma nel 1999 in certi ambienti persistevano sistemi e omertà vecchi di decenni. La Brigata Folgore si portava dietro scorie del passato ed evidentemente in quella caserma che ospitava il Centro addestramento paracadutisti si consentivano comportamenti censurabili. Oggi il mondo delle Forze armate e della Folgore è completamente cambiato e per questo bisogna affrontare senza ipocrisie le responsabilità del passato. Il ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, ha dichiarato la massima disponibilità del dicastero per arrivare alla verità.

Le pressioni politiche all’epoca furono tali da costringere i vertici militari a rimuovere i comandanti. Calogero Cirneco, comandante della “Gamerra”, era stato nominato generale da poco più di un mese e fu subito rimosso, anche se si tentò di farlo passare per un normale cambio proprio in seguito alla promozione. Il cambio ci sarebbe stato lo stesso, ma non fu la stessa cosa. Dopo Cirneco fu la volta del comandante della Folgore, generale Enrico Celentano, che era già finito nella bufera per una curiosa raccolta di scritti definita “zibaldone”, un coacervo di luoghi comuni militareschi, per esempio a favore della disciplina e contro la politica, che pure non era stato ritenuto meritevole di punizione da parte del ministero della Difesa.

LE RITROSIE IN QUELLE INTERVISTE 

In quel clima e dopo qualche ritrosia, la prima intervista rilasciata dall’allora capo di Stato maggiore dell’Esercito, generale Francesco Cervoni, fu pubblicata da Il Tempo il 7 ottobre 1999. Cervoni disse: “Se era presente qualcuno implica un atto criminale, se la morte è avvenuta per colpa di qualcuno è criminale tre volte”, ma riteneva offensivo “il considerare la caserma come un luogo dove nasce la violenza”. Eppure si era ben consapevoli che il nonnismo fosse una piaga, tanto che era stato istituito un numero verde al quale dal 1° gennaio 1998 al 2 settembre 1999, disse Cervoni, erano arrivate 68 telefonate relative al nonnismo su un totale di 2.412. Nello stesso periodo dall’interno erano stati denunciati ben 227 episodi di nonnismo. Cervoni dal marzo 1999 aveva dato direttive ai comandanti per prevenire e reprimere certi episodi, ma in qualche Brigata forse non ne tenevano conto. L’impressione di una complessiva sottovalutazione arrivava anche dall’allora ministro della Difesa, Carlo Scognamiglio: con il suo stile britannico, in un’intervista riduceva il nonnismo a episodi di bullismo che preferiva definire con il termine inglese di “bullying”.

LA FAMIGLIA

Prima della conferenza stampa il procuratore di Pisa ha avvertito la mamma di Emanuele Scieri, Isabella, che si è commossa e il fratello di Emanuele ha parlato di incredulità e di emozione fortissima. Oggi Emanuele probabilmente sarebbe un bravo avvocato.

(In foto la commissione d’inchiesta sul caso Scieri)

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