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Ripartire dal Codice di Camaldoli, tra sacralità e tradizioni laiche

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Una nuova egemonia del mondo cattolico che garantisce, dopo i terribili fallimenti del mondo liberale senza la Luce di Cristo, la salvezza del mondo libero e quella della Chiesa.

Certamente mi ricordo di Yves Congar, l’uomo dei “preti operai” che tanto scandalizzarono l’Italia provinciale degli anni ’60. Altra fonte determinate del pensiero camaldolese del 1943.

Congar riprende, e mi ricordo di un domenicano estremamente severo ma dolcissimo nel dialogo, ferito nel corpo e nell’anima dalla prigionia dei tedeschi, proprio l’idea di Bonifacio VIII, l’aborrito Pontefice di Dante.

Bonifax sostiene che Quod omnes tangit ab omnibus approbari debet, ovvero che la Chiesa, ai tempi del nemico papale del “ghibellin fuggiasco”, può porre il veto a tutti i provvedimenti delle autorità civili contrari alle norme statuite dalla Chiesa.

Bene, Congar sostiene, con in mano il cartiglio della regola civilistica giustinianea utilizzata da Bonifacio, il rovesciamento della sentenza: nella Chiesa, dentro la Chiesa, tutta la materia della fede deve essere approvata a maggioranza dai fedeli.

Congar sa e scrive che, accanto e spesso contro la Chiesa, si è costituito un mondo morale, umano, spirituale e perfino religioso nuovo.

Se vedesse le false religioni di oggi, Yves Congar si confermerebbe nella sua idea, ma certamente si accorgerebbe che, qui opera davvero il maligno, con i suoi segni e le sue insegne evidentissime.

Ecco l’origine del male nella Chiesa e del suo ruolo negli infiniti mondi paralleli e totalmente laicizzati che seguono il signum diaboli. L’imitazione del diavolo e la ripetizione dei suoi simboli dentro la comunità dei credenti, e questo accade se non ci si accorge che la Chiesa non è più l’unica fonte della metafisica occidentale. Ma sarebbe proprio occidentale? Ne parleremo in seguito.

Trovare quindi il contatto rispettoso ma autonomo con chi non crede, ma è buono secondo Dio e gli Uomini, è un’altra tappa del Codice di Camaldoli. Poi, altra radice profonda di Camaldoli, tramite Montini, è Henri De Lubac.

Il gesuita francese rifiuta la linea del Concilio di Trento, quella della esternalità della Grazia (siamo sempre lì, alla Fede che si rapporta alla Ragione) rispetto alla Natura. In effetti, sia in economia che nelle scienze, oggi potremmo dire il contrario.

L’uomo è allora “naturale”, quindi, come diceva San Tommaso d’Acquino, se rileva il suo desiderio oggettivo di soprannaturale.

E qui, aggiungono i teologi amati da Papa Montini, la Salvezza chiama i credenti come i non credenti, mentre il Codice di Camaldoli vale non solo per gli uomini della Democrazia Cristiana (che non furono i soli invitati nell’Eremo toscano) ma per tutti.

Non era questa la banale metafisica dell’egemonia della Dc, ma si trattava di un progetto filosofico, politico, economico e sociale che ricostruiva il Paese dopo che tutti o erano scappati, o si erano macchiati di crimini immondi e razziali, oppure si erano venduti alla nuova ideologia totalitaria di uno Stato straniero. Stato che si manifesterà con il tardivo antisemitismo della “congiura dei medici” ebrei per, come diceva il dittatore georgiano, ucciderlo. Tout se tient.

Ma c’era anche, dentro Camaldoli 1943, la esperienza, scientifica e religiosa insieme, di Theilard de Chardin. Era profondissima, per Papa Paolo VI, la traccia che Theilard aveva lasciato nel suo spirito e nel suo modo di intendere la teologia, anche quella politica.

Antropologo, Paleoantropologo, scienziato rispettatissimo da tutta la comunità degli studiosi, ma anche pensatore originalissimo della sapienza biblica e mistica, Chardin, discendente di Voltaire, ironia somma della sorte, pensa ad una evoluzione di tutto il cosmo, ma non evoluzionista ed ingenua come quella di Darwin, che pure suppose perfino il linguaggio come derivante dal canto degli uccellini in amore.

Amenissimo fu il recente libro di Tom Wolfe, poco prima di morire, in cui l’indimenticabile narratore del politically correct raccontava come la nascita del linguaggio, miracolo anche per i non credenti, veniva trattata dai tanti intellettuali con idee e proposte incredibilmente irrazionali.

Senza la Fede, la Scienza finisce nelle sabbie mobili del dubbio eterno o della follia propositiva. E, anche in questo caso, il Codice di Camaldoli propendeva per una soluzione implicita molto più razionale di quella positivista e scientista, una soluzione che rimandava ad uno sviluppo della filosofia della scienza e della società che ci sarebbe stato rivelato dopo la fine della seconda guerra mondiale: il fallibilismo di Popper, le aporie, troppo semplici ma significative, di Wittgenstein, per cui c’era solo das Mystische dopo le primitive funzioni ostensive del linguaggio, l’dea di scienza “normale” che è funzione del capitalismo e non metafisica contraria, almeno temporaneamente, alla Rivelazione.

Ma cosa c’è, ancora di importante, che ci riguarda direttamente nel Codice, se lo analizziamo, correttamente, sul piano teologico, che è l’essenza del politico? La famiglia, la società, la comunità e lo statuto dell’individuo. Lo Stato ha come funzione e fine il bene comune. Spirituale, fisico, economico, morale per questa e per tutte le generazioni future.

Per questo opera nel contesto sociale. Senza pericolose riserve di legge. Liberamente, ma secondo la regola della maggioranza, che si applica, vedi Yves Congar, ai fedeli come ai non credenti.

Bene: chiare norme, buoni giudici, diritto “romano”, circoscritto e ben formulato, m soprattutto il consenso da parte dei cittadini. Ecco un tema attualissimo del Codice.

Nessuna boria da tecnocrate di campagna, come quella che abbiamo visto in anni passati, boria spesso fondata non solo sulla mancanza di consenso politico, ma sulla assoluta carenza di conoscenze tecniche sulla materia finanziaria e economica. Via il gatto del potere, i topi di una unica serata ballano. Il rispetto delle libertà civiche è poi la chiave della legittimità dello Stato. Altro tema di Camaldoli.

Poi, la famiglia. Oggi è invalso l’uso delle tematiche familiari in politica come terreni di semplice “libertà” senza aggettivi. La famiglia, quindi, come disfacimento programmato del lien social. E se fosse vero in contrario, ovvero che l’organizzazione naturale della famiglia è quella che garantisce meglio la libertà di tutti?

E se la distruzione programmata della famiglia, sulla base del principio del piacere scopiazzato ingenuamente da Freud, che peraltro ipotizzava una civiltà che nasce proprio dalle restrizioni libidiche, fosse un problema economico?

Certo, Konrad Lorenz ci ha insegnato che è l’uomo l’animale, unico nel suo genere, che rimanda, posticipa il piacere, la soddisfazione dei suoi istinti. Per l’inventore dell’Etologia umana, è questo lo aufschieben, il rimandare che disegna tutto lo spazio dell’evoluzione naturale dell’uomo. Ecco, la famiglia posticipa e insieme satura tutto l’istinto del piacere umano.

La sicurezza dell’equilibrio sessuale, la tenerezza tra i coniugi e con i figli, vera scuola di Dio, la stabilità psichica e morale che permette l’evoluzione morale dell’uomo e della donna. Poi, il matrimonio (indissolubile) permette l’attribuzione dei patrimoni e la stabilità economica delle future generazioni.

È qui, eccola, la sapienza terrena e sovrannaturale della Chiesa. Da qui discende la Scuola, che dipende, visto che la famiglia è moralmente e storicamente antecedente allo Stato, dalla Famiglia stessa, dalla Chiesa e, naturalmente, dallo Stato.

In questo modo, con una tripartizione che ricorda quelle di Steiner, peraltro appassionato studioso dell’esperimento di Olivetti, che discende la libertà umana: non c’è più il mito dello Stato, che porta ai fenomeni che già ben conosciamo, né quello parossistico della sola famiglia o del sesso individuale, né, tantomeno, quello della Chiesa, che non vuole “clericali” ma buoni credenti, e soprattutto liberi.

Pensate, qui, a come è invece povero e banale, oggi, il dibattito sulla famiglia, incentrato su una “liberazione” che non si capisce cosa sia e, comunque, sembra proprio una nuova schiavitù. Essere servi degli istinti manomessi dai mass media è molto peggio di ogni altra condizione.

Per non parlare del rapporto tra lavoratori e datori di lavoro, che oggi viene disegnato come semplice rapporto finanziario. E rapporto instabile, senza realizzarsi nei figli, nel rapporto con la donna che si ama, nella vita sociale come figura responsabile.

Chi non ha nulla da perdere, né figli né famiglia né lavoro, è un pericolo per le democrazie, non un libero cittadino. Quanto è poi banale, oggi, pensando al Codice di Camaldoli, il rapporto tra lavoratori e “padroni”, che ha costruito gran parte dell’identità politica dell’intero Novecento.

Ne vedremo delle belle, con questo salario che ormai è dipendente dagli investimenti finanziari, più remunerativi e “brevi”, mentre il mondo “terzo” si ribella, con il jihad o con altre pericolose operazioni, senza infine pensare a Cina, India, Russia e Brasile che si stanno imponendo, ognuno secondo i suoi interessi, come Nazioni multipolari, dopo la fine prossima e ormai prevedibile degli Usa.

Senza la sacralità cristiana del lavoro, e senza nemmeno quella laica del mazzinianesimo e del vecchio socialismo, non ci sarà nessun futuro, né per noi né per quelli che, nelle periferie del mondo, vorranno sostituirci.

Ecco, vorrei che, oggi, si ripartisse dai fondamentali, dalla dottrina sociale della Chiesa e anche dalle grandi tradizioni laiche del lavoro, della solidarietà e dello Stato. C’è già tutto nel Codice di Camaldoli. Senza questo presupposto filosofico e morale, non c’è politologia “empirica” che terrà.

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