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Sforare il 3% del deficit-Pil? L’azzardo di Di Maio secondo Messori e i mercati

Giovanni Tria è in Cina per cementare i rapporti economici tra l’Italia e il Dragone. Luigi Di Maio si appresta a volare in Egitto per una visita ufficiale di 48 ore. L’Europa, invece, attende segnali dall’Italia. La prossima settimana, quella dopo al massimo, al Tesoro si inizierà a scrivere lentamente la manovra d’autunno, la prima a tinte gialloverdi. Il governo dovrà mettere in campo tutta la sua abilità (e coesione) nel costruire una legge di Bilancio a prova d’Europa, che non provochi cioè uno scontro frontale (qui l’intervista di ieri al banchiere Ettore Gotti Tedeschi sui possibili conflitti con la commissione Ue) con Bruxelles in nome del deficit, condannando l’Italia a un isolamento semi-permanente.

Dove sta il problema? Nelle premesse, che non sono delle migliori. In un’intervista concessa al Fatto, il vicepremier e ministro dello Sviluppo ha proferito nuovamente le parole che a Bruxelles non avrebbero mai più voluto sentire: se sarà necessario, per avviare reddito di cittadinanza, flat tax e revisione della legge Fornero, il governo sforerà il tetto del 3% al deficit.

Al netto dell’effetto immediato delle parole di Di Maio sui tassi dei Btp (al 3,2%, ai massimi da giugno) si tratta di posizioni diametralmente opposte a quelle europee che proprio nella manovra d’autunno vorrebbe nero su bianco la riduzione strutturale del deficit a partire dal 2019. Inserire e assemblare nella ex Finanziaria tutte e tre le misure rischia di far saltare il banco, considerato che la crescita, il vero denominatore in grado di far diminuire il rapporto col deficit, latita (l’Ocse ha stimato una crescita in Italia dello 0,2% nel secondo trimestre, contro una media di area dello 0,6%). Di più. Ad oggi l’Italia i rendimenti dei titoli decennali degli ultimi tre mesi sono tutti scesi in Ue, tranne che per l’Italia, dove sono aumentati sensibilmente (+53 punti).

Per l’economista e docente Luiss, Marcello Messori, non va oltreppassata la linea rossa del 3% da parte del governo. “Dobbiamo essere chiari. Questo Paese sta crescendo sempre meno dunque una sostenibilità del debito è fondamentale. Non si può pensare di portare il rapporto deficit-pil oltre l’1,8%, il 2 al massimo. Solo così si può sperare di mantenere sotto controllo il nostro debito”.

Per Messori è indispensabile lavorare sulla comunicazione. “Continuare a dire che si è disposti a superare il 3% è una pessima idea, che crea solo instabilità, peraltro alla vigilia di una manovra complessa. L’Europa ha le sue regole e noi non le stiamo rispettando nemmeno una a cominciare dal pareggio strutturale di bilancio e dalla riduzione di un ventesimo all’anno. Se cominciamo a ballare adesso, figuriamoci cosa succede a ottobre. Dichiarazioni di questo tipo equivalgono solo a provocare e creare un clima di tensione, aprendo scenari drammatici per l’Italia. Perché, ricordiamoci una cosa. Se davvero vogliamo spazi di manovra dobbiamo rispettare le regole e non continuare a fare il tiro alla fune con Bruxelles”.

Tornando ai conti italiani, c’è il debito, che è un po’ il vero termometro della situazione. Il terreno su cui cioè si gioca la partita per avere spazi di manovra in bilancio. Per un Paese con 2.300 miliardi di esposizione, la sostenibilità dell’intero stock è vitale. Questo vuol dire che ci deve sempre essere qualcuno pronto a comprare il nostro debito (gli investitori esteri prestano all’Italia ogni anno 400 miliardi sottoscrivendo titoli pubblici). Anche qui i segnali non sono buoni.

Solo a giugno, nel mese cioè dell’insediamento del governo legastellato, gli investitori stranieri si sono liberati di poco più di 38 miliardi di titoli. Gli unici compratori sicuri al momento sono la Bce, ma fino a ottobre quando inizierà a ridurre gli stock di acquisto fino ad azzerarli a gennaio e le banche italiane.

Le stesse famiglie italiane, i piccoli imprenditori che poi sarebbero l’infrastruttura principale del risparmio italiano, stentano ancora a sottoscrivere i Btp, mostrando segni di sfiducia non verso il governo ma forse verso la sua capacità di mettere al riparo il Paese da tempeste finanziarie. Sfiducia non scalfita nemmeno dai rendimenti più alti spinti dallo spread, che dovrebbero rendere più invitante la sottoscrizione di titoli di debito. Senza considerare che proprio ad agosto l’Istat ha stimato un calo del clima di fiducia dei consumatori nell’economia rispetto a luglio da 116,2 a 115,2.

La combinanzione è micidiale. Perché se da una parte lo Stato si ritrova rendimenti più alti da pagare per ogni titolo venduto, dall’altra di restringe anche la platea dei compratori di debito. In pratica, più interessi da onorare ma meno soggetti disposti a sottoscrivere i nostri titoli. Far salire ulteriormente lo spread potrebbe solo che peggiorare la situazione e con un debito più traballante sarebbe molto più difficile negoziare con l’Ue. E qui si torna al punto precedente cioè alla manovra e ai suoi effetti nei rapporti con l’Europa.

Bruxelles, come detto, attende di capire se la legge di Bilancio impatterà sui saldi di finanza pubblica. Qualora fosse così, con uno slittamento delle principali voci, scatterebbe immediatamente la tagliola, con un possibile, ma al momento improbabile, downgrade da parte delle agenzie di rating. Per questo è molto importante costruire fin da subito una dialettica con la commissione. D’altra parte uno spazio di manovra si può trovare. Magari assicurando una crescita più tonica per ottenere qualche piccolo aiuto sul deficit. Ma senza sforare il 3%.

I giudizi negativi non mancano nemmeno dalle principali istituzioni finanziare estere, che nel frattempo, confermano i timori. Secondo Jim Reid di Deutsche Bank  “i Btp sono messi sotto pressione dalle ultime uscite dei politici italiani, i quali sembrano voler continuare a provocare nuove tensioni”. Per l’analista stiamo assistendo a “un’escalation della retorica riguardante il possibile conflitto sul budget con l’Unione europea”.

 

 


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