Il Presidente della Repubblica Turca, Recep Tayyip Erdogan, è noto per aver dato un nuovo impulso a una politica estera più espansiva di stampo neo-ottomano, anche se qualcuno preferirebbe usare il termine pan islamico. Quello che molti non sanno è che prima ancora dell’ideologia, per il numero uno di Ankara arriva il pragmatismo e la consapevolezza che, se proprio non li si può combattere conviene farseli amici. Se non tutti, di sicuro almeno la Cina.
I rapporti fra Ankara e Pechino non sono mai stati molto tranquilli per via della questione dello Xinjiang, una regione autonoma nel nord della Cina, abitata in maggioranza da uiguri e gruppi di religione musulmana di origine turca. Tanto che, nella Mezzaluna, questa regione viene chiamata Dogu Turkistan, Turkistan dell’est. Ankara si è sempre giudicata uno stato garante per gli uiguri, in virtù delle affinità religiose ed etniche. Se poi si conta che l’uiguro ha in parte la stessa radice dell’ottomano, non sorprende, almeno non a chi conosce la Turchia, come la Mezzaluna giudichi gli abitanti della regione autonoma una sorta di fratelli lontani.
E fin qui l’ideologia. Poi però Erdogan deve essersi fatto due conti e soprattutto, mappamondo alla mano, deve aver capito che la Cina è destinata a influire, e tanto, proprio dove la Turchia è già permeata o dove sta cercando di allargare la sua sfera di influenza, ossia in Africa, nella regione del Golfo e nei Balcani.
Nel continente africano, la Turchia vanta relazioni consolidate con il Sudan e la Somalia, dove ci sono zone di libero scambio e una (secondo alcuni due) basi militari, oltre ad aver intrapreso un’attività diplomatica molto intensa con tutti quei Paesi dell’Africa Centrale e Occidentale, che rappresentano una vera e propria miniera di opportunità di business in termini di commercio e sviluppo di infrastrutture. La Cina l’Africa la sta letteralmente colonizzando. Particolare che deve aver fatto riflettere Erdogan sul fatto che è meglio farseli amici e dividersi gli affari dopo prima che sia troppo tardi. Ankara e Pechino hanno puntato lo stesso posto anche per controllare il mar Rosso. Turchia e Cina hanno aperto due zone commerciali a Gibuti, da dove si controlla sia il mar Rosso, sia il Golfo di Aden, con l’ex Celeste Impero che ha anche pensato bene di impiantarci una base militare. Infine, i Balcani, dove la presenza della Mezzaluna è di fatto limitata dall’attivismo cinese e dove Erdogan, proprio per non entrare troppo in conflitto, ha deciso di favorire una politica di soft-power, puntata più su alcuni Paesi con determinate affinità storiche e religiose.
C’è poi la Belt and Road initiative, la nuova via della Seta, che passerà inevitabilmente anche dalla Turchia e che è un altro motivo per dimenticarsi (salvo usarli come arma di minaccia quando serve) dei fratelli uiguri. Anzi, proprio il maxi progetto potrebbe costituire un collante fra le due nazioni.
Sta di fatto che le relazioni fra i due Paesi stanno migliorando. O diciamo che Ankara ce la sta mettendo tutta perché succeda. In luglio Erdogan e il presidente cinese Xi Jinping hanno deciso di aumentare la collaborazione bilaterale fra i due Paesi. A breve la Turchia aprirà il primo centro culturale in Cina ed Erdogan ha più volte lodato l’atteggiamento di equidistanza dimostrato da Pechino nei confronti delle grandi crisi internazionali.
Prove tecniche di alleanze e asse alternativa. Il presidente turco, si sa, ama giocare su più tavoli e un rapporto più forte con Pechino potrebbe portare anche un diverso atteggiamento, meno di superiorità, da parte di Mosca.