Si fa presto a dire guado. O a parlare di stallo. Sottotraccia il dossier Ilva cerca rapidamente lo sbocco verso una possibile soluzione, industriale o meno che sia. Il tempo però stringe e ogni settimana che passa l’acciaieria perde la sua efficienza in termini di produttività e sicurezza. Lo dimostra l’improvviso black out di questa mattina quando un guasto elettrico sulla rete di distribuzione interna ha causato l’interruzione dell’alimentazione elettrica a una parte dello stabilimento.
Fonti aziendali hanno precisato che “il black out ha generato l’attivazione dei sistemi di sicurezza con l’intervento dei bleeder di altoforno e delle torce di cokeria. L’alimentazione è stata ripristinata alle ore 10.24 con il rientro contestuale verso le normali condizioni operative. Non si registrano danni alle persone o alle cose”.
Tornando al futuro dell’Ilva, le ultime sull’acciaieria risalgono allo scorso lunedì, ovvero da quel confronto di tre ore (qui il racconto del vertice) tra Arcelor Mittal, governo e sindacati, risoltosi con un nulla di fatto perché non si è trovata la quadra sugli esuberi (Mittal ne vuole 4mila a fine bonifica, i sindacati nemmeno uno).
Poi sull’Ilva sono piovute solo polemiche e poco altro. La domanda a questo punto è un’altra. Che cosa vuole fare realmente il governo con Taranto? La premessa di tutto è il clima surriscaldato intorno al tavolo Ilva. Al netto delle temperature di questi giorni, il contesto in cui si deve muovere il governo non è dei migliori. Lo dimostrano una serie di cose.
I fatti, prima di tutto. Questa mattina il ministro dello Sviluppo Luigi Di Maio ha dato seguito a quanto annunciato due giorni fa: la richiesta di parere all’Avvocatura dello Stato in merito alla procedura di gara allestita dal suo predecessore, Carlo Calenda. Il testo della lettera, anticipato da Formiche.net, chiede in sostanza all’organismo consulente dell’esecutivo di verificare l’esistenza o meno degli estremi per annullare la gara. Una mossa che va in parallelo alla trattativa con Mittal che il capo dei cinque stelle sta conducendo.
La strategia di Di Maio, viene raccontato da autorevoli fonti, sarebbe questa. Da una parte provare a tirare al massimo la corda con i potenziali acquirenti sugli esuberi ma dall’altra preparare una via d’uscita politica. In altre parole, affidarsi a pareri giuridici per trovare quelle basi d’appoggio con le quali giustificare l’annullamento della gara. In altre parole, viene spiegato, con un parere negativo in mano, Di Maio potrebbe con una mossa abile imputare un eventuale fallimento sull’Ilva a dei vizi oggettivi contenuti nella gara, oltre a mettersi al riparo da una più che probabile causa legale di Mittal.
La prospettiva di uno stop alla procedura sarebbe finita inoltre al centro di un durissimo scontro tra la Fim-Cisl e lo stesso responsabile dello Sviluppo. Con la prima che avrebbe ricordato al secondo che l’Avvocatura è un organo consulente dello Stato e per questo risposnde direttamente al governo.
Ma c’è qualcos’altro che rema contro una soluzione industriale al problema Ilva. Premesso che come viene confermato dalla medesima fonte ad oggi uno spazio di manovra esiste ancora, a stringere ancora di più la strada per Di Maio ci sarebbe un certo pressing dei territori. In una lettera datata 11 luglio di cui Formiche.net ha preso visione, numerose associazioni pugliesi si sono scagliate contro Luigi Di Maio e Beppe Grillo, rei di non aver ancora mantenuto la promessa di chiudere l’acciaieria, anzi di aver intavolato la trattativa con Mittal.
Qual’è la situazione a questo punto? Questa mattina i commissari Ilva avrebbero fatto il punto della situazione con alcuni rappresentanti di Mittal e poi sarebbero saliti al Mise per riferire a Di Maio. Gli scenari adesso sono essenzialmente questi. Il governo può annullare la gara, anche se incontrando alcuni cronisti a Palazzo Chigi il premier Conte ha escluso che Di Maio possa mettere sulla strada 14 mila persone. Eppure la strada dello stop rimane in piedi. Secondo, continuare la trattativa a oltranza, tenendo conto che i sindacati sono poco propensi ad aprire un nuovo confronto senza la garanzia che sia quello decisivo. Non ci sono terze vie.