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Israele e la crisi per la Legge sullo Stato Nazione: tre aspetti da distinguere

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La legge sullo Stato nazione continua a causare una profonda crisi con le minoranze. Sulle reti sociali circola la notizia, non confermata, che il presidente Rivlin si sarebbe impegnato a firmare la legge, ma in arabo (cioè l’ultimo atto ufficiale prima che l’arabo sia declassato a legge speciale). Il sabato sera in piazza Rabin a Tel Aviv continuano le manifestazioni organizzate dalla comunità drusa cui partecipano altri oppositori della legge.

Ieri erano in 90.000 circa a manifestare contro una legge che secondo alcuni discrimina le minoranze, secondo altri le fa sentire marginali al tessuto sociale e politico. Tra i partecipanti molti giovani che urlavano “ci hanno preso la nostra israelianità”. Ha preso la parola anche Shakib Shenan, padre di Kamil, soldato morto nell’attentato del 14 luglio 2017 a Gerusalemme, che ha detto “mio figlio diventerà un caduto di seconda classe?”. Jaber Habish, ufficiale riservista, si è rivolto al Primo Ministro: “Noi non diamo un contributo allo Stato, ma facciamo il nostro dovere di cittadini. A chi dà un contributo spettano regali; a chi fa il proprio dovere, spettano diritti”.

Tra gli oratori anche l’ex capo dei Servizi di Sicurezza Generale, Yuval Diskin, che ha attaccato duramente il governo per le iniziative populiste che creano odio e divisione. Tra i partecipanti anche l’ex Capo di Stato Maggiore Gabi Ashkenazi e l’ex Capo de Mossad Tamir Pardo.

Netanyahu aveva iniziato una serie di incontri con la comunità drusa per arrivare a un accordo su una futura legge, ma le negoziazioni si sono interrotte quando all’ultima riunione di giovedì scorso il leader drusi Amal As’ad ha urlato “Stato di apartheid!” Netanyahu se n’è andato dalla riunione e il dialogo si è interrotto.

In un’intervista alla radio Kan Beth stamane, la ministra della Giustizia Ayelet Shaked, tra i promotori della legge, ha detto che la nuova legislazione non discrimina nessuno, che ribadisce che i diritti nazionali sono riservati al popolo ebraico mentre lo Stato riconosce i diritti individuali di ciascun cittadino.

Qui la confusione generale sulla legge e la discussione che si è sviluppata sulla stampa internazionale. Tre sono gli aspetti della discussione sulla legge che si possono distinguere. Il primo riguarda l’autodeterminazione ebraica e la definizione della nazione come elemento principle che ha portato alla creazione di Israele. Il secondo riguarda l’atteggiamento di Israele verso le minoranze. L’ultimo invece riguarda il legame tra tale autodefinizione e il conflitto con i palestinesi.

Disquisire sulla necessità o legittimità di un’autodeterminazione nazionale ebraica è affascinante ed emozionante poiché è un caso unico nella storia moderna. Ancor più affascinante è la discussione sullo sviluppo della statualità ebraica, il rapporto tra democrazia è ebraismo, tra stato società e religione che concorre alla definizione dell’identità ebraica, l’insieme di valori che si riflettono nella vita sociale e politica ecc. Tuttavia, discutere senza alcun tipo di paragone o accostamento di esempi trasforma il discorso in un autoreferenziale accanirsi tra difensori e detrattori dello Stato Ebraico. È vero che non esistono altri Stati ebraici cui paragonare Israele, ma esistono altri Stati nazione. Pertanto l’astratta trattazione sull’idea di nazione ebraica e sul prodotto politico statale, cioè Israele, finisce per non aver altro contenuto se non la legittimità stessa di Israele in quanto tale e non in quanto Stato nazione.

Del secondo aspetto, cioè quale spazio hanno le minoranze in uno Stato ebraico, vi sono almeno due domande: possono esserci delle minoranze in uno Stato che ci definisce ebraico? E altra, quali diritti hanno le minoranze in Israele? La dirigenza delle comunità arabe in Israele, che sposa una identità nazionale palestinese, ritiene incompatibile l’idea di Stato ebraico con l’idea di tutela delle minoranze. L’obiettivo politico di parte dei partiti arabi è esercitare il diritto all’autodeterminazione nazionale palestinese sul territorio che oggi è Israele. E la legge lo esclude chiaramente. Israele riconosce però diritti individuali e anche collettivi anche delle minoranze, con diversi profili di tutela dei gruppi linguistici, religiosi e culturali.

Qui si inserisce la lotta delle minoranze come i drusi, i circassi, i beduini del nord e parte dei cristiani: più diritti in termini di eguaglianza sostanziale di accesso alle risorse e riconoscimento della complementarità nella costituzione dello Stato e della società, senza metterne in dubbio l’identità ebraica. A questo proposito, la crisi innescata dalla Legge sullo Stato Nazione riguarda l’assenza di un riferimento anche minimo alla tutela delle minoranze, e alla loro importanza nella costituzione di Israele e della sua società.

Il terzo elemento che occupa le discussioni sulla legge concerne l’effetto della legislazione sul conflitto, come ha ritenuto Bruxelles. Tale posizione è la più oscura: l’idea che Israele è uno Stato ebraico non dovrebbe esser messa in discussione da prospettive negoziazioni con la dirigenza palestinese o con altri Stati che ancora non riconoscono Israele. La posizione di Bruxelles può esser interpretata in due modi: ribadire l’autodeterminazione ebraica è un pericolo per la pace con i palestinesi? Oppure, l’autodeterminazione ebraica è un punto di discussione nelle negoziazioni? Se gli Stati circostanti si definiscono arabi ed islamici (a esclusione del Libano che si definisce solo arabo), come può la definizione di uno Stato ebraico costituire un ostacolo per un accordo di pace?

La legge ha condotto a una crisi profonda che riporta in prima pagina il dibattito sull’identità israeliana proprio in un periodo in cui l’integrazione delle minoranze è diventato l’obiettivo di tutte le istituzioni più importanti, compresi i vari ministeri, l’esercito, uffici pubblici e università.


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