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Macron ha la “sua” politica estera per la Ue (meno Usa, più Russia). E noi?

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Durante l’annuale cerimonia con cui ringrazia e lancia un messaggio ufficiale ai propri ambasciatori, il presidente francese Emmanuel Macron ha dettato la sua linea per un’Europa più autonoma. Ha chiesto che Bruxelles si prepari a costruire un sistema finanziario indipendente e lo stesso faccia dal punto di vista della difesa.

“L’Europa non può più fare affidamento solo sugli Stati Uniti per la propria sicurezza, noi dobbiamo garantirci la nostra sicurezza e la nostra sovranità”, ha detto il capo dell’Eliseo, che fin dall’elezione ha cercato di intestarsi il processo europeo, designandosi come leader dei progressisti filo-Europa contro il nazionalismo intransigente che sta crescendo nel continente: ma la sua è anche una strategia pro-France, con cui, vestita del giusto europeismo, il presidente vorrebbe portare Parigi in testa all’Unione (più forte e più integrata, come lui sostiene, e più a trazione francese).

La posizione sulla difesa ricalca un long-standing, ossia una visione di lunga data di Macron, che è da tempo portavoce di un progetto di difesa comune europea (a trazione franco-tedesca) che garantirebbe maggiore indipendenza – sotto tutti i punti di vista, sia operativi che economici – dall’altro elemento dell’asse transatlantico, gli Usa appunto.

“Il partner con cui l’Europa ha costruito il nuovo ordine post-bellico sembra voltare le spalle a questa storia condivisa”, ha detto agli ambasciatori francesi riuniti all’Eliseo, spiegando perché l’indipendenza è adesso una necessità.

La linea è condivisa dalla Germania, e quando Macron si incontrerà con la cancelliere Angela Merkel a Parigi, il mese prossimo, c’è da giurarci che il rilancio pubblico che il francese ha spinto in questi giorni sarà argomento di discussione.

Quest’ultima uscita sulla necessità di indipendenza dall’America va anche inquadrata nel momento dei rapporti tra Washington e Parigi. Macron ha creato col presidente americano Donald Trump una buona relazione personale: i “due maverick”, come il francese ha definito sé stesso e il collega statunitense, hanno dato molto valore alle rispettive visite di stato, ma nei fatti Francia e Stati Uniti soffrono posizioni differenti su molti dossier che in questa fase stanno emergendo come divisioni.

Macron è un francese che sfrutta il multilateralismo e il globalismo per gli interessi del suo paese; Trump è un nazionalista al limite dell’isolazionismo (che visto il ruolo storico americano è un ossimoro di fatto irrealizzabile, ma su cui Macron ha giocato retorica definendolo “isolazionismo aggressivo”), che crede solo nelle relazioni bilaterali. Macron e Trump hanno posizioni opposte sull’accordo climatico di Parigi, sul commercio, sul deal con l’Iran, per dirne tre.

Quello che ha detto Macron assume anche un altro importante significato, perché il presidente francese ha parlato della necessità di aprire, nel campo della sicurezza, ai colloqui con la Russia, coinvolgendola su “una riflessione su questi temi” e considerandola “un partner europeo”. E ancora, a proposito della spinta che vorrà dare al dibattito, ha parlato di un “dialogo rinnovato sulla cybersicurezza, sulle armi chimiche, gli armamenti classici, i conflitti territoriali, la sicurezza spaziale o la protezione delle zone polari, in particolare con la Russia”.

Quello della Russia è un tema delicatissimo. Gli Stati Uniti in questo momento – nonostante Trump ancora continui a sostenere le sue volontà di apertura verso Mosca – hanno alzato il livello di scontro con la Russia ai massimi termini. Nuove sanzioni sono entrate in vigore la scorsa settimana, e fra tre mesi il presidente è stato chiamato dal Congresso a scegliere tra opzione durissime contro Mosca se il Cremlino non dovesse dare rassicurazioni sull’uso di armi chimiche (il contesto è l’avvelenamento della spia Sergei Skripal in Inghilterra, e il messaggio minaccioso che i russi hanno voluto mandare ai traditori).

Washington ha più volte fatto capire che non gradisce scatti in avanti sul dossier Russia. C’è la possibilità di creare vie di dialogo, la porta non è del tutto chiusa come spiegato in più di un’occasione dal capo della diplomazia americana, Mike Pompeo, ma sembra difficile che gli americani possano gradire un’Europa che si avvicina a Mosca senza prima un coordinamento. Ancor più se quell’avvicinamento è messo sullo stesso piatto della ricerca di indipendenza dagli Stati Uniti di cui ha parlato Macron.

E proprio leggendo il momento, val la pena di spostare il discorso su un elemento che può fare da paradigma, o leva, della situazione. Quando nel 2015 il sistema “5+1” ha firmato l’accordo con Teheran per il congelamento del programma nucleare, il mercato iraniano s’è riaperto, e la Francia di Macron è stata da subito in prima linea per portare avanti i suoi interessi – partì da Parigi, guidata dai vertici della Medef (l’associazione degli industriali) la più grande delegazione di imprenditori europei che sbarcò in Iran nel settembre 2015.

Ora che Trump è uscito unilateralmente dal deal, e ha annunciato che dal 4 novembre rientreranno in vigore le sanzioni economiche contro gli ayatollah (e pure quelle secondarie contro le ditte che ci fanno affari), il fuggi fuggi di imprese europee ha colpito per primo Total, colosso francese dell’energia, che aveva in programma un gigantesco progetto di sviluppo da 4,8 miliardi di euro sul campo gasifero South Pars (il più grande del mondo, di cui l’Iran è azionista di minoranza rispetto al Qatar).

La scorsa settimana anche Air France ha annunciato di voler uscire dal paese: i voli della sua controllata low-cost Joon non atterreranno più a Teheran (la linea da Parigi, chiusa per le sanzioni contro l’Iran nel 2008, era stata riaperta solo nel 2016) a partire dal 18 settembre, in un altro ritiro forzato davanti alle minacce sanzionatorie americane. Sorte identicata toccata ai produttori di gas industriale Air Liquide e simile a Psa e Renault, che avevano in mente di dominare il futuro mercato automobilistico iraniano, ma che per non intaccare il business americano e non far innervosire Washington rivedranno al ribasso la propria presenza.

La vicenda iraniana è interessante perché è stata già usata da un uomo di Macron, il ministro dell’Economia, Bruno Le Maire, per ricordare quanto fosse necessario che l’Europa si “risvegliasse” e quanto fosse fondamentale dotarci di “strumenti per preservare la nostra sovranità economica”. Ma allo stesso tempo quello che sta succedendo in Iran, con le aziende in fuga dopo l’uscita americana, è sintomatico di quanto sia ancora forte la dipendenza europea dall’America, da cui Macron sosteneva la necessità di sganciarsi anche sul deal iraniano, creando dei meccanismi di difesa per gli interessi Ue: impresa che di fatto pare già fallita.

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