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L’Occidente onora John McCain, il maverick repubblicano

È morto John McCain, super senatore del Partito repubblicano americano, con alle spalle una carriera straordinaria che lo ha reso un mito della politica americana, con consensi sulla sua persona che arrivano sia dai suoi elettori che dai democratici – tutti nel mondo di Capitol Hill lo stanno commemorando in queste ore con messaggi di ammirazione e profondo rispetto bipartisan (un’inversione della polarizzazione politica tra Rep e Dem che sta caratterizzando la politica americana da qualche anno, aggravata dall’ingresso sulla scena di Donald Trump, clima contro cui McCain s’è sempre battuto).

McCain, ottantunenne, era malato di cancro al cervello, e la sua famiglia aveva comunicato due giorni fa la decisione della sospensione delle cure. Tra gli ultimi atti legislativi su cui aveva lasciato la firma, seppur simbolica, la legge sul finanziamento della Difesa – con una spesa pubblica record, oltre i 700 miliardi – approvata una decina di giorni fa e intitolata a suo nome. McCain in realtà aveva lasciato la residenza e l’attività giornaliera a Washington per curarsi nel suo ranch dal dicembre 2017.

Nato il 29 agosto 1936 in una base militare a Panama (il padre era un ammiraglio che ha chiuso la sua carriera coi massimi galloni), si era poi diplomato all’accademia militare di Annapolis. Nel 1958 diventò pilota di caccia della marina, e qualche anno dopo assegnato a servire in Vietnam.

Il 26 ottobre del 1967 successo l’evento che gli cambiò la vita: durante una missione di bombardamento contro una centrale elettrica vietnamita, il suo aereo fu colpito e abbattuto. McCain riuscì a eiettarsi, ma nell’espulsione si ruppe le due braccia e una gamba: cadde col paracadute in un lago, dove stava per rimanere annegato (in diverse delle tante note biografiche si dice che si liberò con i denti dell’attrezzatura che lo tirava a fondo). Riuscì a salvarsi, ma fu trovato dai collaborazionisti del regime comunista, che lo consegnarono all’esercito nord-vietnamita dopo averlo picchiato e ridotto molto male.

Inizialmente i soldati vietnamiti pensarono di lasciarlo morire (non valeva la pena di curarlo, era ridotto in fin di vita, e poi quel prigioniero non parlava), ma poi scoprirono che il padre era un importante graduato americano (di lì a poco sarebbe anche diventato capo delle forze statunitensi in Vietnam), e allora decisero di trattarlo come un prigioniero vip. Iniziarono a curarlo (poco e male) cercando in cambio di informazioni, che McCain comunque non rivelò. A quel punto i nord-vietnamiti decisero di metterlo sotto costante tortura: restò imprigionato per cinque anni.

Quando fu liberato il suo corpo era ormai segnato per sempre. Per esempio, mentre lo tirarono fuori dall’acqua dopo la discesa col paracadute, gli ruppero una spalla col calcio di un fucile: non riuscì mai più in vita sua ad alzare il braccio a causa di quella frattura scomposta e non curata. Aveva 37 anni, rientrò in patria coi capelli completamente bianchi, segno di quel che aveva subito.

Aveva una personalità dirompente e una storia straordinaria alle spalle: mentre scalava la carriera militare – la Marina lo nominò comandante dello squadrone di caccia di addestramento in Florida nel 1974 – cominciava a parlare con i politici, incontrava i presidenti. Dal 1977 fu nominato alla guida del team di lobbisti della Marina in Senato: è lì che creò il substrato di contatti per il suo lancio politico, nel 1980, dopo essersi costruito un rapporto personale con Ronald Reagan, che a quel punto stava diventando presidente.

Nell’82 fu candidato dai repubblicani al Congresso dall’Arizona – aveva un profilo perfetto, giovane e brillante, era un militare, era stato prigioniero di guerra, e in più aveva una grande capacità dialettica: stendeva i suoi avversari nei dibattiti. Trentasei punti percentuali furono il distacco con cui vinse la corsa elettorale: lui prese il 66, il democratico suo competitor il 30. Dal 1982 non è mai più uscito dal Congresso di Washington.

L’attività politica di McCain si è sempre contraddistinta per essere stata basata tutta sull’indipendenza – dal partito – e sulle visioni personali. Era sempre preparatissimo, non accettava compromessi che avrebbero potuto alterare il suo modo di vedere le cose, ma è stato da sempre un politico aperto al dialogo anche con i democratici, a costo di non ascoltare le direttive del Partito repubblicano. Era un “maverick“, uno che si muoveva secondo le sue idee a costo di sembrare ribelle – Maverick è stato il suo soprannome.

Uno dei passaggi che forse meglio ne rappresenta la sua carriera politica, c’è stato quando durante le presidenziali del 2008 – in cui perse contro Barack Obama – McCain, candidato repubblicano, ricevette nel mezzo di un comizio una domanda di un’elettrice preoccupata dal fatto che il suo contender democratico fosse “arabo” – circolava già quell’assurda teorica complottista, molto diffusa tra i repubblicani tutt’ora, secondo cui Obama non era americano. McCain interruppe la donna e le disse: “No, signora. [Obama non è arabo] è un onesto cittadino e padre di famiglia con cui non sono d’accordo su temi importanti, ed è solo su questo che si basa la mia campagna”.

Disse poi di essersi pentito di aver scelto l’ultra conservatrice Sarah Palin come sua vicepresidente: nominarla, per accontentare l’ala radicale e ottenerne il consenso, non aveva fatto altro che iniziare a esasperare le polarizzazioni politiche interne agli Stati Uniti. Aveva uno stretto rapporto di amicizia personale con due grandi leader democratici: John Kerry (anche lui fu fatto prigioniero in Vietnam) e Joe Biden. L’ex vicepresidente dell’ultima era Obama è stato una delle poche persone a cui è stato permesso di visitarlo nel ranch di famiglia fino agli ultimi giorni.

Negli ultimi anni, aveva fortemente sostenuto la necessità che, pur nelle differenze, repubblicani e democratici affrontassero insieme i grandi temi dell’America. Nell’attualità, resta di lui l’ultimo scontro politico, quello con Trump. I due non si sono mai amati fin da quando il magnate newyorkese decise di candidarsi per il Gop, nel 2015 (Trump disse in quei mesi che i prigionieri di guerra non sono veri eroi, tirandosi addosso mille critiche pur di attaccare McCain).

Il senatore ritirò addirittura il suo sostegno al candidato, quando uscì il video in cui Trump vantava, con linguaggio volgare, di approcciarsi alle donne con aggressività. Nel luglio dello scorso anno, fu il suo voto contrario a far saltare il piano pensato da Trump per distruggere di botto l’Obamacare: McCain scese sul floor del Senato e, con tempi cinematografici, disse “no”, in un passaggio che resterà nella storia della politica americana.

Pochi giorni fa, mentre firmava la legge per le spese militari intestata a nome di McCain, Trump ha fatto in modo di non menzionare mai il senatore. McCain ha lasciato tra le sue ultime volontà la richiesta che il Presidente non prenda parte al suo funerale.

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