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Non solo Ilva. Se sia i sindacati che le imprese minacciano la piazza, il problema c’è. Parola di Marco Bentivogli

marco bentivogli, Cisl

Ci voleva la prova di forza per ottenere un cenno dal governo. Alla fine ne è valsa la pena. Nelle ultime ore è successo forse più di quanto si sia mosso nei giorni addietro sull’Ilva. Questo pomeriggio i sindacati metalmeccanici di Cisl, Usb, Uil e Cigil hanno perso definitivamente la pazienza, annunciando lo sciopero in tutti gli stabilimenti del gruppo per il prossimo 11 settembre.

Tutta colpa della missiva caduta nel vuoto, inviata la scorsa settimana dalle medesime sigle al ministro dello Sviluppo Luigi Di Maio e al premier Giuseppe Conte, nella quale veniva chiesto un incontro al governo della massima urgenza (qui l’articolo di Formiche.net con tutti i dettagli). Pena, lo stop di 24 ore e un presidio davanti al ministero dello Sviluppo economico. Troppo assordante, avevano fatto capire i lavoratori dell’Ilva, il silenzio dell’esecutivo intorno allo stabilimento e al suo futuro ma soprattutto troppo grande lo smacco di non essersi visti recapitare nemmeno una risposta da parte di Luigi Di Maio.

E invece, a due ore dall’annuncio della mobilitazione, quella risposta è arrivata. Il prossimo 5 settembre Di Maio ha convocato al Mise i sindacati, Arcelor Mittal, i commissari straordinari dell’Ilva e anche i rappresentati dei lavoratori chimici e del trasporto interessati alla vicenda per l’indotto, insieme a Federmanager. Ufficialmente, recita la nota del ministero, “le parti sono convocate per proseguire il confronto”. Solo che al 5 settembre mancheranno una decina di giorni alla scadenza del mandato dei commissari ma soprattutto all’esaurimento della liquidità. E poi?

“Abbiamo letteralmente perso la pazienza, il nostro è stato un tentativo di sintesi tra il mondo metalmeccanico e il resto dei sindacati, non è una rottura”, spiega a Formiche.net il leader della Fim-Cisl, Marco Bentivogli, co-firmatario della lettera in cui è annunciato lo sciopero, appoggiato persino dallo stesso vescovo di Taranto. Sciopero che “resta proclamato, al momento non ci sono le condizioni per revocarlo. Hanno tirato troppo la corda. Abbiamo fatto tre scioperi all’Ilva quando era ministro Carlo Calenda, credo che sia arrivato il tempo, visto il comportamento irresponsabile del ministro Luigi Di Maio, di lanciare una mobilitazione a settembre”, ha attaccato.

Se davvero “c’è stato un delitto perfetto, come ha detto il ministro la settimana scorsa, Di Maio deve assumersi la responsabilità di annullare la gara. Invece continua con lo scaricabarile, dicendo che azienda e sindacati devono riavviare la trattativa, cosa che non vedo come possa farsi”. L’occasione è però stata anche ghiotta per fare il punto sull’attuale situazione economica, contraddistinata da un’incertezza crescente, che non fa presagire nulla di buono (oggi lo spread ha toccato nuovi picchi a 290 punti base).

“Abbiamo un problema piuttosto grave, perché se è vero che lo spread decreta la sostenibilità del nostro debito allora siamo messi male. Per tanto tempo ci hanno abituato a credere che lo spread altro non fosse che un complotto cui imputare tutti i nostri problemi, ma non è così”, spiega Bentivogli. “La gente se ne accorgerà presto che non è così. Quando inizierà a pagare di più il mutuo e il costo del denaro aumenterà allora la gente si sveglierà e capirà, che sono state vittime di una specie di imbroglio chiamato spread. Dobbiamo stare attenti e smetterla di scherzare”. Per Bentivogli un modo per fermare la speculazione, comunque, c’è.

“Dobbiamo rimettere al centro il lavoro, le persone, le cose vere. Tagliare le tasse ai poveri, e non continuare a parlare di misure da inserire nella manovra che alimentano il malumore sui mercati. Flat tax, reddito di cittadinanza, non sono la priorità di oggi. Persino le nazionalizzazioni non lo sono. Faccio notare come le imprese, dopo anni, minaccino la piazza. Non solo noi lavoratori ma anche gli imprenditori. Qualcuno se ne rende conto oppure no?”

 

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